PROCESSO AI 25 MANIFESTANTI - Le motivazioni

12.1 Il corteo delle Tute Bianche - gli imputati > > > > > > > > > > 1 | 2 | 3

Il corteo delle Tute Bianche
Le posizioni dei singoli imputati
Considerazioni generali.

1. I reati contestati come commessi a margine del corteo delle Tute Bianche del pomeriggio del 20 luglio 2001 vengono ascritti agli imputati BD, CS, CD, CC, DRF, DAF, DAAF, DIM, DPA, FA, FL, FTO, MM, PF, PP, SN e TF.
Gli avvenimenti di quelle ore, particolareggiatamente ricostruiti nella prima parte di questo capitolo, appaiono estremamente complessi e, prima di poter scendere all’esame delle singole responsabilità, rendono indispensabili alcune considerazioni più generali circa la sequenza causale dei fatti e delle condotte dei loro protagonisti.

2. Punto di partenza è il rilievo che il corteo dei manifestanti, per quanto come ha rilevato il P.M. non stesse scendendo verso il “miglior mondo possibile”, era completamente pacifico, nessuno dei suoi componenti risulta fosse munito di armi proprie o improprie e durante la discesa verso i limiti della Zona Rossa non si era reso responsabile di alcun gesto di vandalismo, danneggiamento o di altro reato.
Va detto con chiarezza che si trattava di un corteo del tutto lecito, oggetto di debito preavviso all’Autorità di P.S. che non lo aveva vietato, limitandosi a stabilire prescrizioni, che fino al momento dell’incontro con il contingente dei Carabinieri del Battaglione Lombardia erano state rispettate dai suoi partecipanti.
Solo per comodità lessicale si usa parlare in questo caso di “corteo autorizzato”, quando in realtà si dovrebbe far riferimento semplicemente al concetto di corteo non vietato.
Si tratta di una posizione giuridica più favorevole rispetto a quella di un soggetto che abbia ricevuto un’autorizzazione.
Con l’autorizzazione la Pubblica Amministrazione, sulla base di una valutazione di carattere discrezionale, rimuove un ostacolo all’esercizio di un diritto preesistente in capo al soggetto.
Senza l’autorizzazione la posizione giuridica soggettiva esiste ma non può essere azionata.
Nel caso di specie invece il diritto di riunione discende direttamente dalla Costituzione (art. 17) e viene liberamente esercitato, salvo la necessità di farne precedere la concreta manifestazione da un preavviso all’Autorità di P.S. che può impedirlo o limitarlo, per comprovati motivi di sicurezza o incolumità pubblica, a mezzo di specifici ordini di polizia secondo le forme stabilite dal T.U.L.P.S..
Il comportamento “negativo” dell’Autorità che di fronte al preavviso di una riunione in luogo pubblico nulla obbietta è significativo e costituisce un atto amministrativo non di autorizzazione bensì di “non divieto”.
In questo caso non viene rimosso un ostacolo all’esercizio di un diritto, ma semplicemente non viene vietato o limitato l’esercizio di questo, che quindi preesiste in modo pieno in capo al soggetto.
3. Mentre il corteo, discendendo Via Tolemaide verso ponente, era giunto quasi all’incrocio con Corso Torino il contingente di Carabinieri del Battaglione Lombardia comandato dal Capitano Antonio BRUNO e diretto dal Dr. Mario MONDELLI percorreva Via Tommaso d’Invrea, parallela a Via Tolemaide, verso levante e giunto all’incrocio con Corso Torino fermava i veicoli, scendeva dai medesimi e si organizzava in formazione da ordine pubblico.
Qui i militari procedevano ad un primo lancio dei lacrimogeni e all’avanzata nello slargo di Corso Torino poi ad un secondo lancio di lacrimogeni ed alla carica contro il corteo delle Tute Bianche che si trovava in Via Tolemaide.
Per quanto i due episodi siano successivi, cronologicamente molto vicini e tra loro collegati dall’unicità del contingente operante e dalla prossimità dei luoghi, essi devono essere fattualmente e logicamente tenuti ben distinti.
Si tratta in altre parole di due diverse manovre, separate da un lasso temporale di una certa consistenza e compiute con modalità e per motivi diversi.
La prima manovra consiste nello sgombero dello slargo e nella successiva occupazione della zona dei due incroci tra Corso Torino e le Vie D’Invrea e Tolemaide, inizia alle 14.52 e raggiunge completamente il suo scopo in circa due minuti, intorno alle 14.54.30.
La finalità appare evidentemente quella di liberare un’area dove il contingente doveva passare, le modalità seguite non comportarono, salvo l’episodio ai danni dei due registi, il contatto fisico con i manifestanti.
La seconda manovra inizia immediatamente dopo l’occupazione dell’incrocio tra Corso Torino e Via Tolemaide quando i militari si schierano sul lato di levante dell’incrocio, davanti al corteo delle Tute Bianche fermo dietro gli scudi.
I due schieramenti si fronteggiano immobili per circa un minuto e mezzo fino a quando, alle ore 14.56.35, comincia la carica sul corteo.
MONDELLI ha spiegato lo scopo di questa seconda manovra con la necessità di respingere un’aggressione che proveniva dal corteo e di creare una zona di rispetto per poi far risalire gli uomini sui veicoli e proseguire verso la zona di Marassi.
Le modalità dell’intervento comportarono lo scontro fisico con il corteo che fu costretto ad arretrare per un lungo tratto verso levante.

4. Come si è avuto modo di descrivere analiticamente nella prima parte di questo capitolo [455], il teste BRUNO ha riferito che fin dal momento dell’arrivo all’incrocio tra Via D’Invrea e Corso Torino, mentre si trovava ancora a bordo dei veicoli il contingente era stato fatto oggetto di attacco da parte di facinorosi con il volto travisato che lanciavano dapprima contro i mezzi e poi anche contro i Carabinieri che ne discendevano una gran quantità di sassi, corpi contundenti e persino di bombe Molotov.
Secondo MONDELLI e FAEDDA invece i Carabinieri erano scesi dai mezzi in una zona protetta ed erano stati raggiunti da numerosi e intensi lanci solo poco dopo quando avevano voltato l’angolo di Corso Torino.
Le persone con atteggiamento ostile verso i militari potevano stimarsi in diverse decine (MONDELLI), erano gruppi molto consistenti, rappresentavano la totalità delle persone che si trovavano di fronte ai Carabinieri (BRUNO), erano “una folla” o comunque un gruppo nutrito, tra i 50 e le 100 persone (FAEDDA).
I lanci arrivavano anche da persone presenti sulla massicciata ferroviaria e si erano protratti anche durante la successiva avanzata del contingente nello slargo di Corso Torino (FAEDDA), mentre BRUNO ha ricordato lanci dalla massicciata solo al momento dell’arrivo del contingente all’incrocio con Via Tolemaide.
A causa di questa aggressione BRUNO aveva ordinato di lanciare i lacrimogeni, quindi il contingente era avanzato sgombrando la piazza.
Una volta raggiunto l’incrocio con Via Tolemaide e dopo essersi riorganizzato il contingente si era rivolto verso il corteo delle Tute Bianche.
Questo era protetto da barriere tenute insieme da tubi Innocenti (MONDELLI), inoltre dal corteo e dalla soprastante massicciata ferroviaria veniva un continuo e fitto lancio di corpi contundenti contro i militari (MONDELLI, FAEDDA), mentre il teste BRUNO ha ricordato solo i lanci provenienti dal corteo.
Pertanto era stata compiuta una carica che aveva costretto i manifestanti ad arretrare.
La carica era stata decisa da BRUNO che aveva perso di vista il funzionario di P.S. e non aveva avuto il tempo di impartire ai manifestanti l’invito a disperdersi.
Dietro gli scudi i manifestanti erano armati di bastoni e di spranghe (BRUNO, FAEDDA).
Nell’ambito del corteo vi era un furgone Fiat Ducato, senza alcun segno convenzionale, come croci o lampeggianti che potessero farlo identificare quale ambulanza e dal quale in precedenza erano provenuti dei lanci (BRUNO).

5. Come si ricava agevolmente da quanto riferito in precedenza [456] le deposizioni dei testi a difesa si pongono in senso diametralmente opposto a quelle dei tre Ufficiali di P.G..
Si tratta di dichiarazioni rese da persone di estrazione e provenienza del tutto diverse tra loro, elemento che di per sé rende improbabile l’esistenza di un accordo per fornire deposizioni non veritiere.
Che ai danni del contingente di Carabinieri sceso in Via D’Invrea non fossero compiuti, mediante continui lanci di oggetti, attacchi tali da giustificare la reazione con il lancio di lacrimogeni e l’avanzata nello slargo di Corso Torino, che in particolare in questa fase i militari non fossero fatti oggetto di lanci provenienti dalla massicciata ferroviaria sono elementi comuni alle deposizioni degli organizzatori del corteo (CASARINI), di parlamentari (MANTOVANI, GIORDANO), di registi (BALSAMO, LUDOVICI, FRANCESCHINI, ML), di giornalisti ed operatori del settore dell’informazione (CHIESA, PELLECCHIA), di semplici manifestanti (FUMAGALLI, DS) che si trovavano sul posto e che furono coinvolti dalla condotta dei Carabinieri.
Il teste SCADUTO aveva visto cinque o sei ragazzi, definiti come “cani sciolti”, cioè non facenti parte del corteo, portarsi nella zona dell’incrocio e di qui lanciare un totale di due o tre sassi verso i militari per poi scappare verso il tunnel.
ML aveva visto volare una bottiglia, peraltro non proveniente dal corteo.
Ma a parte quest’ultimo episodio dalle dimensioni comunque molto circoscritte, le dichiarazioni dei testi sono tra di loro assolutamente concordanti nell’escludere violenze in atto contro i militari, nel ricordare come improvvise e del tutto inaspettate le esplosioni dovute al lancio dei lacrimogeni, nel lamentare che i lacrimogeni venissero lanciati non verso l’alto per poi cadere a parabola come prescritto ma in molte occasioni ad altezza d’uomo, nell’affermare come l’avanzata dei Carabinieri nello slargo di Corso Torino non trovò alcuna resistenza, perché le persone presenti, spaventate, disturbate e disorientate dai gas, si diedero subito alla fuga verso ponente, la stazione Brignole, verso monte all’interno del tunnel o verso levante dove era fermo il corteo.
L’avanzata dei militari venne accompagnata da singoli episodi di violenza ai danni di persone inermi, come il regista BALSAMO che prima stava filmando gli avvenimenti e poi aveva cercato scampo andando verso la stazione.
Allo stesso modo i testi della difesa hanno escluso che, prima e durante la carica sul corteo, sia stata posta in essere qualsiasi manifestazione violenta contro i militari.
Lo stupore, lo sconcerto, la paura ed il disagio provocato da una quantità di gas definita “sostanziosa” (ML) erano stati immediati, generalizzati, paralizzanti.
I militari esprimevano violenza con la propria condotta ed anche con le parole (si pensi all’episodio del Carabiniere che uscendo da un blindato urla ai colleghi “ammazzatelo” riferito ad un manifestante fermato, ritratto nel filmato e riferito nella deposizione del teste LUDOVICI).
Sotto i colpi dei manganelli gli scudi erano caduti, quindi i militari avevano continuato a colpire ormai solo le persone (FUMAGALLI, VALERA).
I manifestanti non avevano opposto alcuna resistenza ma vi era stato soltanto un generale tentativo di fuggire, reso difficile dal numero dei partecipanti al corteo, dalla calca, nonché dalla mancanza di vie di scampo.
Alcuni avevano cercato rifugio in un cortile laterale, dove (PF) non si erano verificati episodi di violenza contro i militari bensì da parte dei militari contro i manifestanti.
La carica era stata così veemente che il corteo, fatto di oltre diecimila persone, aveva dovuto arretrare di circa 209 metri.
La concordanza delle versioni fornite su questi punti da testi tanto diversi ed anche lontani ideologicamente e professionalmente tra di loro appare attribuire a queste un’attendibilità superiore a quella dei tre pubblici ufficiali coinvolti direttamente nell’azione e quindi in posizione tale da dover anche giustificare il proprio operato.

6. A queste considerazioni deve aggiungersi che le immagini prodotte dalle parti forniscono nella loro oggettività un indispensabile supporto per la ricostruzione corretta dei fatti, che va nella direzione indicata dai testi della difesa e non da quelli del P.M..

6.1 I filmati e le fotografie infatti mostrano innanzitutto come l’avanzata su Via d’Invrea della colonna di veicoli militari, la discesa e lo schieramento dei Carabinieri avvennero nella più completa assenza di contrapposizione neppure mediante lanci di oggetti ad opera di chicchessia [457].
I Carabinieri si vedono discendere in modo tranquillo ed ordinato dai veicoli [458], schierarsi all’angolo tra Via d’Invrea e Corso Torino e prepararsi ad avanzare nello slargo di Corso Torino posto davanti al sottopassaggio ferroviario sotto lo sguardo di diversi operatori cinematografici e fotografi che li riprendono [459].
In particolare in queste immagini si notano due militari muniti di fucili lancia lacrimogeni (di due tipi diversi) che sono fatti appostare da un ufficiale, il Capitano BRUNO, sull’angolo dell’incrocio davanti ai colleghi schierati e che ricevono l’ordine, chiaramente udibile nel filmato, di “lanciare là in mezzo” accompagnato da un gesto dell’ufficiale che indica lo slargo di Corso Torino.
Solo qualche secondo dopo questo ordine si vede arrivare sopra la tesa dei due militari e battere contro il muro dell’edificio una bottiglia contenente del liquido rosso, che poi cade senza colpire i due.
Fino a questo momento non si erano potuti notare lanci o altre manifestazioni sediziose nei confronti dei militari, il cui schieramento appare invece oggetto della sola curiosità di alcuni fotoreporter.
Da altre immagini [460] che riprendono la situazione dello slargo di Corso Torino, quindi lo spazio davanti al contingente schierato, si notano non più di tre o quattro persone, che dal margine di levante indirizzano contro i militari non più di tre lanci di oggetti che non sembrano neppure raggiungere il contingente.
Il resto delle persone che affollano lo slargo, più di un centinaio tra i quali un cospicuo numero di fotografi e cameraman, non ha atteggiamenti ostili nei confronti dei Carabinieri di cui molti non si accorgono neppure.
Neanche dalla massicciata ferroviaria si vedono giungere lanci verso i militari e la ragione appare semplicemente che sopra la stessa in quei momenti, e per lungo tempo anche in seguito, non vi è nessuno [461].
Questo è confermato anche dalla deposizione del teste CARISDEO che ha ricordato di aver visto dei ragazzi salire sulla massicciata ed iniziare a lanciare solo dopo che egli ed i suoi colleghi si erano già portati sulla stessa e stavano osservando gli scontri già in atto nella via sottostante.
Le immagini mostrano come l’avanzata nello slargo sia stata compiuta previo lancio di lacrimogeni avvenuto anche ad altezza d’uomo [462] e poi sia stata seguita da episodi di violenza nei confronti di civili del tutto ingiustificati, come quello ai danni del regista BALSAMO e come tali stigmatizzati anche dal P.M. durante la sua requisitoria.

6.2 Anche le immagini relative alla carica contro il corteo delle Tute Bianche [463] consentono di escludere significativi gesti di violenza da parte dei manifestanti nei confronti del contingente di Carabinieri.
I due schieramenti si fronteggiano, fermi e a qualche decina di metri di distanza, per circa un minuto e mezzo, durante il quale vengono peraltro esplosi alcuni lacrimogeni (ore 14.55.56) fino a quando (ore 14.56.35) inizia l’avanzata e la carica.
Durante questo periodo si ha modo di vedere, e di contare, due lanci di oggetti contro i militari (il primo alle ore 14.55.51, il secondo alle ore 14.56.22), mentre un terzo (ore 14.57.02) avviene già durante la carica.
I lanci vengono compiuti da persone che si trovano al di fuori della testuggine del corteo e si nota anche un manifestante che esce da questa per allontanare in malo modo uno dei due lanciatori.
Quanto a manifestazioni di violenza da parte dei manifestanti nei confronti dei Carabinieri non vi è altro.
In particolare non vi sono persone sopra la massicciata o lanci da questa, né vi sono, fatta eccezione per i tre lanci di cui sopra, lanci provenienti dal corteo.
Le immagini mostrano come i manifestanti non fossero muniti di alcun bastone, o spranga, o tubo di metallo e che al momento in cui caddero gli scudi si diedero alla fuga senza opporre una qualsiasi resistenza [464].
Anzi, dalle immagini si ricava come fossero i Carabinieri, numerosi Carabinieri ad essere muniti di strumenti aventi carattere offensivo e non d’ordinanza, perché diversi dai manganelli TONFA [465].
E un militare aveva ritenuto di scrivere sopra al suo casco (forse per avere maggiore riconoscibilità, come ipotizzato dal teste FAEDDA) la scritta “NIGHTMARE” che in inglese significa “incubo”.
Le foto reperto R_088 D-GE9_8h e reperto F_07-20luglio_53 [466] mostrano come il furgone Fiat Ducato presente nel corteo avesse un contrassegno molto visibile sul cofano, costituito da una grande croce rossa e che durante la carica non sia stato risparmiato dai colpi dei militari che ne ammaccavano la carrozzeria e ne rompevano i vetri.

7. L’avanzata su Via Tolemaide venne accompagnata e seguita da analoga manovra nelle adiacenti Vie Casaregis e D’Invrea, dove all’azione dei militari a piedi si aggiunse quella dei loro blindati.
Sono state contate ben quattro cariche condotte dai blindati ad alta velocità nelle due strade di cui sopra (la prima dalle 15.12.10 fino alle 15.14.18, la seconda dalle 15.23.35 fino alle 15.24.24, la terza dalle 15.26.09 fino alle 15.26.56, la quarta alle 15.28.44).
I veicoli non si limitarono a sfondare le barricate erette dai manifestanti, con conseguente pericolo di investimento dei manifestanti, come risulta accaduto anche se indirettamente a CD [467] e a due ragazzine soccorse dall’imputato MM e da suo fratello L [468].
Durante la prima avanzata, alle ore 15.14.00 [469], un mezzo blindato OM55 esce a sirene spiegate dalla parte a monte di Via Casaregis, svoltando su Via D’Invrea in direzione ponente.
Il veicolo marcia a velocità sostenuta tra la gente ed insegue due manifestanti anche sul marciapiede.
Malgrado qualche evidente difficoltà i due riescono a scansarsi e il blindato raggiunge Corso Torino.

8. L’obbiezione, mossa da MONDELLI e BRUNO, che le immagini loro mostrate fossero incomplete e quindi non ritraessero l’intera fase dell’aggressione subita ad opera dei manifestanti, in particolar modo nella fase iniziale quando il contingente era appena giunto all’incrocio tra Via D’Invrea e Corso Torino non può trovare accoglimento.
Al contrario di quanto sostenuto dai due testi va rilevato che le immagini [470] di cui sopra riprendono l’intera scena dal sopraggiungere della colonna di veicoli militari – con i Carabinieri ancora a bordo degli stessi [471] - fino al lancio di lacrimogeni e alla successiva avanzata nello slargo e pertanto non possono lasciare dubbi circa l’inesistenza in quei momenti di un grave, copioso, ripetuto attacco mediante lanci di sassi, corpi contundenti e bottiglie incendiarie ai danni dei Carabinieri.
Si aggiunga come tutta la parte di fatti legati al corteo delle Tute Bianche è stata oggetto di ripresa ad opera di telecamere di servizio, di emittenti televisive e di privati di ogni genere che non hanno lasciato “scoperto” o ignorato praticamente nessun aspetto qualificante per la ricostruzione dei fatti investigati e le parti hanno prodotto al Tribunale una mole considerevole di filmati e di fotografie anche su questo specifico punto.

9. I tre episodi di cui sopra appaiono e vanno tenuti tra di loro distinti cronologicamente e logicamente.
Durante i primi due non si registrano condotte violente da parte dei manifestanti, salvo quegli sporadici lanci di cui si dirà tra poco, nel terzo avvenuto ad oltre un quarto d’ora dalla carica sul corteo, si vedono già degli atti oggettivamente qualificabili come di resistenza compiuti dai manifestanti nei confronti dei militari.
I tre episodi sono però tra di loro legati dall’elemento, qualificante, dell’unicità degli Agenti operanti nelle cui condotte - illegittime sotto diversi aspetti - si apprezzano, per gli strumenti usati, l’intensità e la reiterazione dell’azione nonché per l’evidente disinteresse per l’incolumità altrui, anche elementi che indicano una particolare volontà di nuocere ai manifestanti, di compiere cioè nei loro confronti atti ingiustificatamente lesivi con modalità non consentite dall’ordinamento.

9.1 Il lancio di lacrimogeni e la successiva avanzata dei Carabinieri nello slargo di Corso Torino costituisce atto d’autorità compiuto senza che esistesse un’apprezzabile necessità di impiegare la forza.
In quel momento all’interno dello slargo erano presenti centinaia di persone, giornalisti, fotografi, cameraman, semplici curiosi.
Tra essi vi erano anche i componenti del gruppo di contatto del corteo delle Tute Bianche, parlamentari e rappresentanti istituzionali, figure cioè del tutto pacifiche che cercarono, senza riuscirvi, di instaurare un dialogo costruttivo con le Forze dell’Ordine (MANTOVANI).
Quasi nessuno, salvo appunto MANTOVANI, un paio di suoi colleghi ed alcuni reporter, si era accorto dell’arrivo dei militari.
L’atmosfera era completamente pacifica tanto che un film maker (FRANCESCHINI) non riprendeva nulla in particolare ma, in attesa del corteo, si limitava a cercare un’inquadratura interessante perché non succedeva granché.
In questa situazione così tranquilla però il contingente si stava già preparando a lanciare i lacrimogeni (l’ordine di BRUNO di lanciare “là in mezzo” precede come si è visto l’arrivo della bottiglia lanciata sopra i militari).
Vi furono tre o quattro persone (o anche cinque o sei, secondo il ricordo del teste SCADUTO) che si contrapposero ai militari (uno come si vedrà viene identificato nell’imputato PP riconoscibile per la felpa della CULMV) e che lanciarono in direzione dei militari, ma a quel che si vede senza neppure colpirli, due o tre oggetti.
A fronte di questo attacco, che si deve definire modesto, al limite dell’atto dimostrativo o di una mera provocazione, i militari attaccarono con i lacrimogeni e poi avanzando di corsa.
L’atto di polizia appare in questo caso ingiustificato perché ha coinvolto centinaia di persone del tutto estranee ai lanci contro i Carabinieri, senza neppure essere diretto ad isolare e a bloccare i pochi lanciatori, che infatti si vedono lasciare lo slargo sostanzialmente indisturbati.
In questo caso, evidentemente, è mancata la proporzionalità che deve presiedere ad ogni atto del pubblico potere, considerando che i mezzi usati – i lacrimogeni e l’avanzata del contingente - non erano idonei ad operare selettivamente e finivano per danneggiare tutti i presenti.
L’atto pertanto va ritenuto illegittimo perché, non rispettando il principio di proporzionalità, appare viziato da eccesso di potere [472].
Un secondo profilo di illegittimità, la violazione degli articoli 22 e 23 T.U.L.P.S., si rinviene nell’omissione dell’invito e dell’ordine a disciogliere l’assembramento.
Quanto accadeva nella piazza prima del lancio dei lacrimogeni non poteva essere considerato come “rivolta od opposizione” (art. 24 T.U.L.P.S.) dato il numero del tutto esiguo (due o tre) dei lanci in direzione dei Carabinieri e del fatto che la stragrande maggioranza delle persone presenti fosse assolutamente tranquilla.
I militari non avrebbero dovuto sgombrare a forza la piazza, senza prima aver invitato i presenti a spostarsi per lasciarli passare.
Scopo del contingente infatti, secondo MONDELLI, non era rimanere in quell’incrocio, né affrontare il corteo, ma dirigersi con urgenza verso Marassi, quindi oltrepassare Corso Torino ed i suoi occupanti.
L’atto è stato svolto con modalità illegittime, quali il lancio di lacrimogeni ad altezza d’uomo.
Lo stesso BRUNO, di fronte alle immagini che ritraevano un lancio di questo genere [473] spiegava che l’ordine impartito era stato di lanciare in alto, poi però il tiro era stato basso “per compensare la traiettoria” e lanciare più lontano.
Spiegazione che appare del tutto illogica perché è notorio come un lancio a 45° di altezza riesca a far coprire al proiettile un percorso più lungo di un lancio teso ad alzo zero.
Sul punto rilevano le dichiarazioni del teste Lorenzo CERNETIG, nel 2001 Dirigente della Polizia di Stato, che nell’immediatezza dei fatti ebbe dal Capo della Polizia l’incarico formale di accertare episodi di violenze fisiche o morali compiute da parte delle Forze dell’Ordine riuscendo ad individuare tredici casi.
Escusso a dibattimento CERNETIG ha spiegato come una direttiva del Ministero dell’Interno del 2001 proibisca di lanciare lacrimogeni ad altezza d’uomo e disponga che il lancio debba avvenire invece con un alzo maggiore ai 45°.
Non si deve dimenticare la natura di armi da sparo dei fucili lancia lacrimogeni il cui uso legittimo è consentito solo in presenza di situazioni di fatto specificamente determinate dalla legge, che richiedono sempre il rispetto – oltre che del principio di proporzionalità di cui si è già detto – anche delle cautele tecniche proprie del mezzo impiegato.
In altri termini non può considerarsi scriminato ai sensi dell’art. 53 c.p. lo sparo di lacrimogeni con alzo zero, perché idoneo a rendere il mezzo usato molto più pericoloso di quanto previsto e consentito dalla legge[474].
L’atto di polizia in discussione è stato accompagnato da ingiustificate manifestazioni di violenza nei confronti di persone inermi e comunque non offensive, come l’aggressione al regista BALSAMO[475]costretto a terra da diversi Carabinieri e percosso con i manganelli, mentre si limitava a proteggere la macchina da presa e a gridare di essere un giornalista o come l’aggressione al cameraman che stava girando il reperto 154.02 il quale, subito dopo aver ripreso le percosse a BALSAMO subiva un analogo trattamento[476].
Anche a proposito di atti di violenza CERNETIG ha ricordato di aver rilevato nelle immagini esaminate almeno un caso di “accanimento eccessivo” da parte del P.U. e di “violenza talvolta gratuita e in ogni caso non proporzionata all’entità dell’offesa ricevuta”.
Questi elementi sono idonei a far ritenere illegittimo ed arbitrario l’atto di polizia costituito dalla prima delle manovre del contingente.
In particolare le concrete modalità di attuazione sono tali da apparire arbitrarie oggettivamente, cioè viste dall’esterno, da un “osservatore avveduto” secondo la corrente di pensiero fatta propria dalla Corte di Cassazione nelle sentenze Maroni e Carbone già richiamate.
Ma anche seguendo l’impostazione maggioritaria, si deve riconoscere come l’ordine di lanciare i lacrimogeni senza alcun preavviso contro persone per la quasi totalità pacifiche, la concreta modalità dell’esecuzione dell’atto con l’esplosione ad alzo zero, le successive aggressioni ai due reporter costituiscono atti deliberatamente volti ad arrecare un inutile danno, mediante un inutile atto di prepotenza.

9.2 Nel corso della requisitoria finale, soffermandosi sull’aggressione ai danni del regista BALSAMO, il P.M. ne ha riconosciuto l’inequivoca natura arbitraria ma ha specificato che tale atto non può ritenersi legato da un nesso causale con la condotta tenuta, di lì a pochi minuti, dai manifestanti appartenenti al corteo che per la distanza dall’episodio non potevano neppure essersene accorti.
L’assunto del P.M. deve essere condiviso nei termini e con i limiti con i quali è stato formulato: chi non percepisce l’esistenza di un atto arbitrario non può giovarsi di esso per giustificare una propria condotta che, a quel punto, non può integrare la reazione legittima prevista dalla legge.
Ciononostante l’episodio accaduto ai danni di BALSAMO, così come l’intera manovra compiuta dal contingente in quel primo momento appaiono sintomi rivelatori dell’atteggiamento psicologico aggressivo e prepotente dei pubblici ufficiali procedenti.
Questo non è cambiato nel giro dei due minuti che separano l’aggressione a BALSAMO dalla carica sul corteo.
Anche per questo atto si rinvengono diversi motivi di illegittimità.
Innanzitutto la carica, avvenuta anche in questo caso dopo il lancio di lacrimogeni, non è stata preceduta dall’avviso e poi dall’ordine impartito ai manifestanti di disperdersi e di sciogliere il corteo, violando gli articoli 22 e 23 del T.U.L.P.S.
In secondo luogo la carica non è stata ordinata dal funzionario di P.S. a ciò competente bensì dall’ufficiale dei Carabinieri che comandava il reparto.
Poiché il funzionario di P.S. era presente sul posto [477], l’ordine dato dal Capitano BRUNO appare viziato da incompetenza e impartito in violazione dell’art. 22 del T.U.L.P.S.
La carica è stata compiuta senza una reale necessità.
Le immagini documentano come i manifestanti si trovassero immobili e disarmati dietro agli scudi, che dal corteo non siano partiti lanci (con l’eccezione anche in questo caso di soli tre lanci provenienti però da un punto situato fuori del corteo) e che la situazione di confronto a distanza sia durata per un tempo (circa un minuto e mezzo) del tutto sufficiente per dare modo a BRUNO di cercare MONDELLI e a quest’ultimo di chiedere istruzioni alla S.O.
Come si è già rilevato MONDELLI ha sostenuto che la carica fosse volta a respingere un’aggressione che proveniva dal corteo (un fitto lancio di pietre, corpi contundenti e bottiglie Molotov) e di creare una zona di rispetto per poi far risalire gli uomini sui veicoli e proseguire verso la zona di Marassi.
In realtà non solo non era in atto alcuna aggressione proveniente dal corteo, ma a disposizione dei militari vi era tutto lo spazio necessario a consentire la manovra di disimpegno.
Le immagini mostrano che, durante il fronteggiamento, i due schieramenti sono separati da alcune decine di metri.
Inoltre la zona del sottopasso appare completamente in possesso dei Carabinieri e al suo interno o non vi sono ostacoli di alcun genere (nel fornice a levante) oppure questi non hanno carattere insormontabile (nei rimanenti due fornici), tanto che più testimoni hanno dichiarato di esservi passati senza incontrare particolari problemi.
Lo stesso BRUNO ha ammesso che la zona del sottopasso gli sembrava libera.
Pertanto, seguendo opportunamente l’indicazione che MONDELLI si vede dare con il proprio manganello, BRUNO avrebbe dovuto far attraversare il sottopasso dai militari a piedi e poi far seguire i blindati, senza intervenire contro il corteo.
Il corteo non ha aggredito in alcun modo il contingente, non era armato e fino a quel momento non aveva compiuto alcun atto di violenza.
Di conseguenza non vi è nessun motivo per ritenere che i manifestanti avrebbero aggredito i militari se questi si fossero allontanati.
È invece la condotta di chi diede e quella di chi eseguì l’ordine di carica che paiono logica conseguenza di quanto compiuto fino a quel momento.
La mancanza di necessità della carica integra la violazione del già ricordato principio di proporzionalità del comportamento del pubblico ufficiale, quindi la sua illegittimità.
Durante l’istruttoria dibattimentale è risultato chiaramente come quel punto di Via Tolemaide, e ancora oltre fino a Piazza delle Americhe, facesse parte del tratto nel quale il corteo era autorizzato (rectius “non vietato).
Si trattava di una manifestazione di carattere politico, che radunava circa diecimila persone.
In altri termini in quel momento davanti ai Carabinieri in Via Tolemaide vi erano persone che esercitavano un diritto garantito loro dalla Costituzione.
E che ciò faceva pacificamente, senz’armi, né qualsiasi attiva partecipazione ai fatti di devastazione precedenti [478].
Tanto MONDELLI quanto BRUNO hanno riferito di non essere stati pienamente informati di quel corteo, forse avevano ricevuto qualche informazione generica o ne avevano letto sui giornali.
Non ne sapevano nulla perché non era un loro obbiettivo di carattere primario.
Eppure, tra tutte le manifestazioni organizzate quel giorno, si trattava forse di quella più importante per numero di partecipanti e soprattutto perché “mirava” direttamente alla Zona Rossa.
Era tanto importante che l’ordinanza del Questore, recapitata a tutti i funzionari di P.S. ed anche agli Ufficiali dei Carabinieri, faceva espressamente menzione di essa e prevedeva un consistente schieramento di mezzi e di uomini, sotto la direzione del Dr. GAGGIANO, proprio nella zona di Brignole, dove il corteo avrebbe dovuto trovare un limite invalicabile verso la Zona Rossa.
C’è di più, MONDELLI aveva ricevuto un’indicazione specifica sulla possibilità di incontrare il corteo, che proveniva da levante, nel tratto di strada che avrebbe dovuto attraversare per raggiungere Piazza Giusti.
Si fa riferimento alla comunicazione radio delle ore 14.29.41 (“però devi fare subito perché sta scendendo da Corso Gastaldi un altro corteo”) [479].
In base alla notorietà della manifestazione ed alla specifica comunicazione per iscritto e a voce si deve ritenere poco attendibile l’asserzione dei due pubblici ufficiali di aver sostanzialmente ignorato l’identità e la natura del corteo.
Comunque gli stessi avevano tutto il tempo necessario a chiedere informazioni ed istruzioni alla Sala Operativa, dato che i due schieramenti si fronteggiarono perfettamente immobili per un minuto e mezzo e che questa fase di stallo venne interrotta non per iniziativa dei manifestanti ma solo dalla carica dei Carabinieri.
Quindi i tempi, già congrui, avrebbero potuto essere anche maggiori.
Orbene anche nell’iniziativa di procedere al lancio dei lacrimogeni in un luogo così affollato senza prima consultarsi con i superiori si ravvisa un profilo di illegittimità nella specie della violazione delle disposizioni impartite con la circolare del Capo della Polizia del 6/2/2001.
Questa contiene l’avvertimento relativo al “forte impatto” provocato sulla folla ed allo scalpore suscitato nell’opinione pubblica dall’uso dei lacrimogeni e richiede imprescindibilmente una previa consultazione del funzionario preposto con il Questore ed una valutazione di quest’ultimo “sulla effettiva necessità di ricorrervi in relazione all’evolversi delle manifestazioni” fermo restando “l’obbligo da parte del dirigente del servizio di adottare ogni iniziativa idonea a scongiurarne l’uso”.
La circolare fa salvi, ovviamente, i casi eccezionali che devono essere valutati con il necessario rigore.
Ma che la situazione di Via Tolemaide, prima della carica dei Carabinieri, non rappresentasse un caso eccezionale emerge con estrema chiarezza dal dato che il corteo era del tutto lecito e si trovava in un tratto “autorizzato” e dalla constatazione che i manifestanti non hanno aggredito il contingente.
Il P.M. ha affermato come competa al funzionario presente “sul campo” valutare sul momento lo stato dell’ordine pubblico, quindi la sussistenza di quei comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica che rendono possibile ordinare lo scioglimento di una manifestazione.
Peraltro in quei giorni era operante un sistema di controllo generalizzato delle manifestazioni, compiuto mediante costanti contatti tra tutti i funzionari sulla piazza ed i superiori.
Questi ultimi avevano a propria disposizione le immagini provenienti dalle telecamere del traffico e dagli elicotteri, potevano pertanto seguire le manifestazioni “in diretta” e di conseguenza coordinare i servizi in modo globale e centralizzato (testi ZAZZARO e FRASSINETTO).
Come si è appena rilevato, i funzionari di P.S. presenti in piazza avevano l’obbligo di consultarsi con il Questore prima di ricorrere all’uso dei lacrimogeni.
Appare pertanto impensabile che, data la delicatezza dei servizi in occasione del G8, i funzionari non si consultassero previamente con la S.O. della Questura per ricevere direttive da chi era responsabile del sistema di ordine pubblico dell’intera città.
Tanto più nel caso si fosse verificato un evento che il singolo definiva come inaspettato.
Rileva il fatto che nella specie qualunque intervento nei confronti del corteo richiedeva un atto espresso e formale, debitamente comunicato ai superiori.
Comunicazione che era possibile perché in quel momento non era in atto alcuna aggressione ai danni del contingente di Carabinieri.
Rileva il fatto – importantissimo – che anche dopo la prima carica (ore 14.56.35), immediatamente percepita dalla S.O., nessuno sia intervenuto presso il Dr. MONDELLI per cercare in qualche modo di bloccare o quanto meno di dirigerne l’azione.
La prima comunicazione successiva alla carica tra la S.O. e MONDELLI è infatti solo delle ore 15.22.52 e contiene la disposizione di lasciar passare il corteo.
Questa circostanza lascia aperta ogni possibile congettura circa le modalità effettive dell’operazione.
Nelle immagini si possono osservare tre lanci effettuati contro il contingente.
Uno, quello delle ore 14.57.02, è posteriore all’inizio della carica (14.56.35), quindi non può esserne considerato causa.
Quello delle ore 14.56.22 avviene pur sempre dopo l’inizio del lancio dei lacrimogeni (14.55.56) e anch’esso non può essere causa della condotta dei militari.
I due lanci si vedono effettuati da due diverse persone che si trovano fuori dalla testuggine, nelle immagini si può notare anche come i manifestanti del corteo allontanino in malo modo almeno uno dei lanciatori, prendendo le distanze da quel gesto.
Resta il primo lancio, un oggetto che si vede volare verso il contingente alle ore 14.55.51.
Peraltro questo solo lancio, o anche tutti e tre sono cosa ben diversa dal fitto e continuo lancio di pietre, corpi contundenti e bottiglie Molotov descritto da MONDELLI e da BRUNO.
Tra i tre lanci e la successiva condotta dei Carabinieri manca evidentemente la proporzionalità, il rispetto di quel principio cioè che imponeva ai militari, se proprio fosse stato necessario, di intervenire selettivamente per isolare i violenti dalla gran massa di persone non violente.
Le modalità di intervento furono illegittime.
Anche in questo caso le immagini mostrano il lancio di lacrimogeni ad altezza d’uomo [480].
I gas vennero impiegati in quantità massiccia, ML ha parlato di un “bombardamento continuo”, producendo sulla folla effetti di panico, seguiti dalla fuga con l’inevitabile schiacciamento data la conformazione dei luoghi.
BRUNO ha dichiarato che nel corso degli interventi del 20/7/2001 il contingente lanciò 229 lacrimogeni da 40 mm, 60 lacrimogeni di vecchio tipo lanciabili con il FAL e 86 granate lacrimogene a mano.
La massiccia quantità di gas usato e l’assenza di vie di fuga per i manifestanti fanno ritenere la modalità di intervento seguita come illegittima perché contraria alle previsioni della circolare del Capo della Polizia del 6/2/2001 che sottolineava la necessità “di evitare il lancio dei lacrimogeni in ambienti frequentati da numeroso pubblico” per il panico e le conseguenti intuibili ripercussioni sulla sicurezza pubblica che questo potrebbe comportare.
Molti militari risultano aver utilizzato strumenti diversi dai manganelli d’ordinanza TONFA.
Si tratta di manganelli di diversa foggia, uno [481] ha le caratteristiche di un tubo di metallo pieno, avvolto nel nastro isolante, tutti comunque appaiono strumenti atti ad offendere.
Che si tratti di armi portate con sé da numerosi militari e non raccolte da terra nell’immediatezza o anche strappate dalle mani dei manifestanti emerge dalla circostanza che tali strumenti sono visibili in possesso dei Carabinieri di questo contingente fin dalle foto del mattino [482].
Le immagini poi, oltre alle deposizioni già citate documentano che i manifestanti non erano affatto armati.
Sono state prodotte oltre ottanta foto relative a Carabinieri di quella compagnia muniti di manganelli non d’ordinanza.
Si tratta di armi improprie, strumenti cioè atti ad offendere le persone ben oltre i limiti accettati dall’ordinamento, quelli cioè che possono essere arrecati dalle armi d’ordinanza.
Numerosi testimoni, sanitari del GSF hanno messo in evidenza la natura particolare delle ferite riscontrate su tanti manifestanti, definite “strane” per essere dovute a semplici manganellate (SCISCI).
Erano ferite molto nette, estese, profonde, sembravano quasi delle rasoiate, non presentavano il tipico aspetto irregolare di una ferita di tipo contusivo.
Erano state inferte da superfici definite molto dure.
Il porto di armi improprie costituisce per chiunque un reato ai sensi dell’art. 4 L. 110 del 1975 e per un Carabiniere anche un illecito disciplinare, come dichiarato dal teste TRUGLIO.
Consequenziale appare la considerazione che le lesioni personali arrecate con strumenti non d’ordinanza, armi improprie, integrano, se non giustificate altrimenti, estremi di reato doloso.
E la condotta di quei pubblici ufficiali, la carica e le successive percosse, non era giustificata in alcun modo.
I militari non si limitarono ad abbattere gli scudi della testuggine, ma continuarono per diversi secondi a percuotere manifestanti del tutto inermi, per poi inseguirli, anche di lato nel cortile della METALFER e in Via Casaregis, percuoterli ancora e trarli in arresto.
Sono state prodotte numerose immagini di manifestanti fermati dai Carabinieri e grondanti sangue per le lesioni subite [483], nonché i relativi verbali d’arresto, non risultano però pronunciate sentenze di condanna per i reati ipotizzati [484].
Nessuno di loro era armato e finora nessuno reagiva [485].
MONDELLI, BRUNO e FAEDDA hanno affermato di non aver notato militari in possesso di manganelli diversi da quelli d’ordinanza e di essere a conoscenza che tutti erano dotati dei TONFA.
Sul punto FAEDDA viene smentito dalle immagini del video reperto I038 e delle foto reperto 229 IMG2326 e reperto 229 IMG2327 [486] che lo ritraggono significativamente vicino ad un Carabiniere che tiene in mano, proprio davanti al viso del testimone, un manganello diverso dal TONFA, mentre FAEDDA si alza da terra e partecipa al fermo di un manifestante, operato da quel Carabiniere e da un Agente di Polizia.
Data l’estrema vicinanza tra i due non pare credibile che FAEDDA non si sia accorto dell’arma impropria, come da lui dichiarato alla visione di queste immagini.
Non diverse considerazioni devono essere svolte per le analoghe asserzioni di MONDELLI e BRUNO.
Entrambi hanno svolto quel giorno servizio per diverse ore insieme a militari che, come si vede nelle immagini, non nascondevano certo il possesso di quel tipo di manganelli.
BRUNO poi era il comandante di quel reparto, tenuto ad essere sempre informato delle condotte dei sottoposti e responsabile tra l’altro proprio del loro corretto armamento.
Di fronte alle immagini di militari che, per ore, oltre ai TONFA portano visibilmente in mano o al fianco bastoni di legno o tondini di ferro appare davvero incredibile che i superiori non se ne siano accorti.
Poiché nessuno di loro lo ha impedito, si deve ipotizzare che essi abbiano accettato e fatto proprio il porto e l’uso di quelle armi improprie.
Quanto sopra dimostra l’arbitrarietà della manovra, intesa in senso generale come carica e in senso particolare per i singoli episodi che composero quest’ultima.
L’ordine non solo era illegittimo ma palesemente ingiustificato e sproporzionato alla situazione, esso denota pertanto la volontà in chi lo impartì di arrecare danno ingiusto ai manifestanti.
L’arbitrarietà dell’ordine rende arbitraria anche la sua esecuzione, pure nell’ipotesi che chi lo esegue sia in buona fede [487] .
Peraltro le modalità di esecuzione concretamente tenute nel caso di specie fanno dubitare che vi fossero militari che non intendessero arrecare danni ingiusti.
Gli atti di esecuzione infatti raggiunsero estremi di violenza del tutto ingiustificata, in certi casi ben oltre il limite della gratuità.
Vi è di più, chi porta con sé strumenti atti ad offendere diversi dalle armi d’ordinanza lo fa perché ritiene i primi più efficaci di queste ultime.
Lo fa preordinatamene per arrecare un danno maggiore e diverso rispetto a quanto consentito dalla legge.
Lo fa perché vuole commettere un sopruso, una violenza ingiustificata nei confronti di chi gli si parerà davanti.
Non diversamente deve ritenersi di quel militare che scrive sul proprio casco la parola “NIGHTMARE”, incubo.
Si tratta di persone che non scendono in piazza solo per mantenere o ristabilire l’ordine pubblico, ma per arrecare danni e incutere un timore del tutto illeciti.

9.3 Anche nel momento immediatamente successivo, quello delle cariche compiute dai blindati in Via Casaregis e Via D’Invrea si apprezzano caratteri, se possibile ancor più gravi, di arbitrarietà nella condotta dei pubblici ufficiali.
Lo sfondamento delle barricate ad opera dei blindati, le loro evoluzioni in mezzo alla folla, l’inseguimento anche sui marciapiedi di manifestanti che scappano a piedi integrano estremi oggettivi di reati contro la persona, oltre a costituire violazione delle disposizioni contenute nei “concetti tecnico-tattici di impiego delle Unità Organiche a vario livello nei servizi di O.P.”
pubblicati dal Ministero dell’Interno relativamente all’impiego dell’automezzo Fiat OM A55 F13 [488].
Si tratta non solo di illegittimità di condotta ma della manifestazione di una chiara volontà di nuocere alla persona, non diversa del resto da quella espressa fino a quel momento da quello stesso contingente.

10. Prima di procedere oltre va esaminato ancora il contenuto di una parte delle dichiarazioni rese dal teste GAGGIANO.
Come si è dettagliatamente riferito [489], questo teste si trovava in Piazza delle Americhe e qui, alla testa di un numeroso contingente, aspettava l’arrivo del corteo al quale doveva impedire qualsiasi eventuale iniziativa verso i limiti della Zona Rossa posti appena dietro le sue spalle.
Egli ha reiteratamente affermato (udienze dei giorni 11 e 25/1/2005) di aver potuto vedere direttamente delle persone uscire dal corteo delle Tute Bianche ed infilarsi nel sottopasso di Corso Torino.
Quindi aveva rivisto queste persone (o almeno persone vestite nello stesso modo, munite cioè delle medesime protezioni di gommapiuma usate dalle Tute Bianche) riapparire in Via Canevari dove prendevano parte, o comunque si trovavano vicine, all’incendio di alcune auto.
GAGGIANO ha mantenuto ferma questa versione anche davanti alle immagini mostrategli ed alle deposizioni contestategli dalla difesa [490].
Davanti alla prova cioè che nel momento in cui le auto di Via Canevari venivano incendiate (ore 14.14.18) il corteo delle Tute Bianche si trovava ancora all’altezza della Casa dello Studente, in Corso Gastaldi, alla distanza di circa 1 Km. da Piazza delle Americhe e rimaneva non visibile da questa piazza a causa di una curva.
Quindi non era possibile vedere quello che GAGGIANO affermava di avere visto.
D’altronde, le immagini dell’incendio delle auto di Via Canevari [491] mostrano come ad appiccare il fuoco siano due sole persone vestite di nero, mentre intorno non si vedono manifestanti muniti di protezioni di gommapiuma, come quelle presenti all’interno del corteo delle Tute Bianche.
Questa parte delle dichiarazioni del teste GAGGIANO non è attendibile perché smentita da elementi di carattere oggettivo che appaiono certi.
La circostanza che il teste abbia voluto mantenere ferma la propria deposizione nonostante i diversi elementi di segno contrario e le reiterate contestazioni costituisce indizio non di un mero errore nel ricordo ma della volontà di riferire un elemento diverso dal vero.

11. Alla luce di quanto sopra si devono svolgere alcune considerazioni e trarre le necessarie conseguenze giuridiche in ordine all’applicazione della causa di giustificazione prevista dall’art. 4 del Decreto Legislativo Luogotenenziale 14/9/1944 n. 288, in ordine alla configurabilità del reato di devastazione e saccheggio, contestato anche in questa fase e della sussistenza di indizi del reato di cui all’art. 372 c.p. ad opera dei testi MONDELLI, BRUNO, FAEDDA e GAGGIANO.

11.1 L’arbitrarietà delle condotte dei pubblici ufficiali costituisce causa di giustificazione delle condotte di resistenza ascrivibili ai privati [492] non solo durante le prime due manovre (lo sgombero dello slargo di Corso Torino e la carica sul corteo), ma anche durante la contrapposizione nelle laterali Vie D’Invrea e Casaregis.
Si deve infatti considerare come l’insieme di quelle condotte arbitrarie non ha leso soltanto beni di carattere primario quali l’incolumità e la libertà personale, ma anche i diritti di quei cittadini a riunirsi e a manifestare liberamente il proprio pensiero.
In quanto previsti e garantiti dalla Carta costituzionale anche questi ultimi devono essere considerati come beni di carattere primario.
Le persone che hanno reagito alle cariche ed alle percosse dei Carabinieri non hanno agito solo uti singuli ma proprio in quanto manifestanti, in un contesto di spiccata consapevolezza della portata politica della manifestazione alla quale partecipavano.
Per tale motivo la concreta efficacia della causa di giustificazione in parola non può in questo caso rimanere limitata alla reazione momentanea e spazialmente circoscritta a singoli episodi, perché si è trattato di un’aggressione ingiusta portata da un numero considerevole di pubblici ufficiali ai danni di una collettività organizzata.
In dottrina è stato affermato come “il diritto di riunione presenti modalità di esplicazione tali da necessitare di forme di tutela rapide ed efficaci, che si sostanziano soprattutto nel rendere possibile l’effettiva esplicazione del comportamento ipotizzato (il riunirsi in quel certo momento in quel luogo), avendo un valore relativo e secondario nella maggior parte delle ipotesi l’attribuzione di successive forme di risarcimento per equivalente”.
In proposito appare significativo quanto riferito nel corso del suo esame dall’imputato FTO.
Costruendo e portando avanti le barricate su Via D’Invrea e Via Casaregis, resistendo agli attacchi dei militari a piedi e poi dei blindati, inseguendo questi fino allo slargo di Corso Torino i manifestanti hanno inteso non solo raggiungere i compagni del corteo, ma anche e soprattutto “riconquistare” il diritto a manifestare liberamente, diritto del quale erano stati privati arbitrariamente.
La riconquista del diritto a riunirsi e a manifestare rappresenta nel caso di specie l’esatta portata della causa di giustificazione, ma anche, a ben vedere, il suo limite intrinseco.
Decisivo a questo proposito appare il fatto che, inseguendo il contingente che si stava ritirando, i manifestanti siano ritornati fino all’incrocio tra Via Tolemaide e Corso Torino.
Siano arrivati, cioè, fino al punto dal quale erano stati ingiustificatamente allontanati dalla condotta arbitraria di quel contingente di Carabinieri.
Come chiestogli dalla S.O. con la comunicazione radio delle ore 15.22.52 [493] MONDELLI si sposta e lascia passare le Tute Bianche, non opponendosi più allo svolgimento del corteo.
E i manifestanti ritornano sull’incrocio senza più incontrare ostacoli, perché i Carabinieri si sono ritirati più a mare, addirittura oltre l’incrocio tra Corso Torino e Via D’Invrea, il punto cioè da cui era iniziata la manovra ritenuta arbitraria.
Questo è il limite, non solo spaziale ma anche logico giuridico, dell’estensione dell’applicabilità della causa di giustificazione in parola.
Da questo momento nessuno dei manifestanti può più affermare di essere attualmente privato di uno o più diritti ad opera delle Forze dell’Ordine.
I fatti pregressi possono aver lasciato in loro la comprensibile convinzione di avere subito un sopruso ed un’ingiustizia, ma non costituiscono più una giustificazione per le condotte successive.
Queste, a cominciare dall’assalto al blindato in panne, sono da considerare oramai come condotte autonome, nuove rispetto al pregresso, non animate dallo spirito di chi deve difendere se stesso ed i propri diritti, come nella maggior parte delle cause di giustificazione, bensì dal desiderio di rivalsa, di contrapposizione non più solo nei confronti del contingente autore di atti arbitrari ma di chiunque vesta una divisa e rappresenti con ciò lo Stato.
Emblematico di ciò appare proprio l’assalto contro il blindato in panne.
Non è stato accertato quale parte il veicolo ed il suo equipaggio possano aver avuto nelle precedenti manovre, se cioè si siano limitati a seguire l’avanzata del contingente senza aggredire in alcun modo i manifestanti oppure si siano resi protagonisti della fase più violenta ed arbitraria, quella delle cariche dei mezzi a velocità sostenuta tra la folla.
Comunque sia, una volta che il veicolo era ritornato nello slargo di Corso Torino e si era arrestato in panne esso aveva cessato di svolgere una qualsiasi attività aggressiva e di rappresentare un qualsiasi pericolo.
In senso spaziale il mezzo non si trovava neppure più sul percorso del corteo e quando si fermò era diretto ancora più lontano da questo.
La condotta dei militari a bordo del veicolo non poteva più essere qualificata come arbitraria ed appariva improntata unicamente a scopi di difesa.
L’azione dei manifestanti contro il veicolo pertanto non costituisce una giustificata reazione ad atti arbitrari, in questo momento inesistenti, bensì un’aggressione illecita, motivata dalla rabbia per quanto accaduto fino a poco prima.
È il generale divieto di farsi giustizia da sé che impedisce di trovare giustificazione a questa azione una volta che il veicolo ed il suo equipaggio avevano cessato di rappresentare un pericolo attuale dal quale doversi difendere.

11.2 Quanto accaduto nella zona tra Via D’Invrea e Via Tolemaide tra le 14.40 e le 15.30 del 20/7/2001 appare avere ricadute importanti anche sulla configurabilità del delitto di devastazione e saccheggio contestato agli imputati facenti capo al (o comunque coinvolti negli scontri avvenuti a margine del) corteo delle Tute Bianche.
In questo caso il Collegio ritiene di escludere la sussistenza di questo delitto sulla base di tre ordini di motivi.
Il che peraltro consente di ritenere configurabili nei fatti e di conseguenza punibili altre figure di reato, come si vedrà più avanti.
Da un punto di vista materiale, i danneggiamenti arrecati da questo gruppo di manifestanti non appaiono raggiungere aspetti quantitativamente significativi.
Ciò che viene danneggiato in realtà è costituito da alcuni segnali stradali, da alcuni muretti e da alcuni veicoli dei Carabinieri, uno dei quali viene incendiato.
Altre auto e diversi cassonetti dell’immondizia vengono altresì utilizzati come strumento di difesa, per erigere cioè delle barricate da opporre ai militari e soprattutto alle cariche dei blindati.
Si tratta di un quadro molto diverso da quello legato alle condotte dell’altro gruppo di persone considerato in questo processo, quello degli appartenenti al Blocco Nero, i quali hanno percorso la città cercando e scegliendo obbiettivi da distruggere, lasciando dietro di sé danneggiamenti, distruzioni, incendi generalizzati, accompagnati da attività di sottrazione di beni - dagli alimentari del Dì per Dì agli accessori per motociclisti – parimenti generalizzate.
Gli appartenenti al corteo delle Tute Bianche e le altre persone coinvolte negli scontri del pomeriggio non arrecano distruzione fine a se stessa.
I danneggiamenti sono conseguenza degli scontri con le Forze dell’Ordine ed appaiono, quantitativamente, troppo limitati per poter essere giuridicamente qualificati con il termine di devastazione.
In secondo luogo, rileva l’elemento psicologico sottostante a queste condotte.
Questo non è costituito dalla volontà di manifestare contro il sistema una protesta di carattere “reale”, distruggendo cioè le cose che possano rappresentare rapporti economici e sociali ritenuti ingiusti.
Le persone coinvolte negli scontri del pomeriggio pensano in primo luogo a difendersi, poi a reagire, infine a vendicarsi nei confronti di un attacco, di un’offesa ritenuti ingiusti perché senza motivo e dai caratteri del tutto malevoli.
In questo atteggiamento psicologico non si rinvengono gli estremi del dolo, seppur generico, necessario per integrare il delitto di devastazione e saccheggio perché gli autori non hanno alcuna intenzione di arrecare danni in misura o portata considerevole, né di asportare una quantità cospicua di beni.
Al di là della consapevolezza del turbamento dell’ordine pubblico, su cui si tornerà tra breve, manca proprio la volontà di realizzare l’elemento materiale del reato nella sua esatta portata.
Un importante riscontro è costituito dal fatto che, per quanto queste persone siano transitate vicino ad uffici ed esercizi commerciali già interessati dalle devastazioni apportate dai manifestanti del Blocco Nero (si pensi agli uffici di Via Montevideo), essi non hanno compiuto alcuna attività simile nei confronti di quelli o di altri uffici e negozi vicini.
E questo è avvenuto sia in un momento antecedente sia in un momento posteriore alla carica dei Carabinieri in Via Tolemaide.
Se effettivamente la volontà di queste persone fosse stata quella di fare tabula rasa intorno a sé, di arrecare danni gravi e diffusi a ciò che incontravano, soprattutto ai simboli del potere economico e politico, essi avrebbero certamente avuto gli strumenti, gli obbiettivi e tutto il tempo necessario per farlo in una zona che per lunga parte di quel pomeriggio non era presidiata dalle Forze dell’Ordine.
Sotto un ultimo, ma non meno importante, profilo il Collegio ritiene di dissentire dall’impostazione fornita dalla pubblica accusa in ordine alla configurabilità del reato di cui all’art. 419 c.p.
Nei fatti avvenuti quel pomeriggio in questa zona venne effettivamente turbato l’ordine pubblico, inteso nel senso di ordinata e pacifica convivenza civile.
La lunga istruttoria dibattimentale e, soprattutto, la mole di immagini acquisite rendono evidente come in quelle strade vi fosse una situazione di grande violenza, di contrapposizione e di lotta tra le Forze dell’Ordine, munite di armi in senso stretto ed una quantità cospicua di cittadini, alcuni dei quali si erano procurati delle armi improprie.
Oltre a questi vi erano migliaia di persone, facenti parte del corteo, che non svolgevano alcuna condotta violenta né si contrapponevano agli Agenti, ma che erano interessati dagli scontri sostanzialmente nel ruolo di vittime.
Orbene, la ricostruzione compiuta in precedenza circa la genesi degli scontri non lascia dubbi sul fatto che questi hanno avuto origine da tre diverse manovre del contingente di Carabinieri del Battaglione Lombardia, tutte egualmente caratterizzate dal connotato dell’arbitrarietà.
La reiterazione, la portata, le modalità di queste manovre sono state tali da provocare allo scontro una massa considerevole di persone, fino a quel momento pacifiche.
Diversamente da quanto sostenuto dal P.M., in Via Tolemaide nei minuti immediatamente antecedenti la carica l’ordine pubblico non si poteva ritenere turbato.
Anzi la presenza di un corteo ordinato, composto da cittadini che esercitavano pacificamente un proprio diritto era la dimostrazione che in quel luogo e in quel momento esisteva una situazione “normale” di vita cittadina, quindi di rispetto dell’ordine che si doveva pertanto ritenere ristabilito dopo il passaggio, circa un’ora e mezza prima, dei manifestanti del Blocco Nero.
Questa situazione è poi cambiata per iniziativa del contingente di Carabinieri, non dei manifestanti, che non possono essere ritenuti responsabili del turbamento dell’ordine pubblico conseguente a scontri da loro non cercati, né provocati.
Data la stretta connessione spaziale, temporale e logica dei fatti succedutisi senza alcuna soluzione di continuità, considerazioni analoghe devono essere svolte anche per gli avvenimenti successivi alla prima reazione dei manifestanti e verificatisi nel corso dell’intero pomeriggio.
Aggrediti in maniera estremamente violenta i partecipanti al corteo reagirono in maniera violenta, tanto che l’ordine pubblico non poté essere ripristinato senza l’impiego di ulteriori contingenti e lo svolgimento di nuove cariche.
Anche questi fatti però trovano la prima causa nei massicci lanci di lacrimogeni in Corso Torino e Via Tolemaide, nella carica contro il corteo, nei caroselli dei blindati di Via Casaregis e non in un’autonoma volontà dei manifestanti di mettere in pericolo la tranquillità della vita cittadina.
Le manovre compiute dal contingente di Carabinieri del Battaglione Lombardia hanno avuto, per le modalità impiegate e per la considerevole massa di persone interessata, una portata tale da non consentire di attribuire ai privati coinvolti la responsabilità del turbamento dell’ordine pubblico per l’intero corso degli avvenimenti di quel pomeriggio.

11.3 Messe a confronto tra di loro, le acquisizioni probatorie hanno consentito non solo di ricostruire in modo attendibile l’effettiva genesi dei fatti, le cause e le modalità secondo le quali si svilupparono gli scontri in quella parte della città di Genova, ma anche di rinvenire concreti indizi del reato previsto dall’art. 372 c.p. nelle deposizioni di quattro testi del P.M.
Secondo quanto ampiamente riportato nella prima parte di questo capitolo [494] e nei paragrafi precedenti, risulta comune alle deposizioni dei testi MONDELLI, BRUNO e FAEDDA l’affermazione che le manovre del contingente vennero provocate da un attuale, grave, copioso, ripetuto attacco mediante lanci di sassi, corpi contundenti e bottiglie incendiarie ai danni dei Carabinieri.
Attacco iniziato già al momento dell’apparire del contingente sull’incrocio tra Via D’Invrea e Corso Torino (per BRUNO anche in precedenza, cioè mentre i militari si trovavano ancora sui mezzi) e protrattosi fino alla carica contro il corteo.
I manifestanti avevano poi reagito con violenza all’attacco contro gli scudi, percotendo i militari con bastoni e spranghe.
Come si è già avuto modo di constatare, nessuna di queste affermazioni corrisponde al reale andamento dei fatti così come emerso dalle risultanze dibattimentali.
Analogamente, per i motivi già espressi al precedente paragrafo 9.2, deve dubitarsi della sincerità delle risposte di questi tre testimoni, laddove affermano di non essersi accorti di episodi di violenza compiuti da militari ai danni di persone inermi, né che diversi Carabinieri portassero ed utilizzassero strumenti offensivi diversi dalle armi d’ordinanza.
Il contenuto delle deposizioni dibattimentali di questi tre testimoni e gli altri atti ad esse relativi devono pertanto essere trasmessi al P.M. perché valuti se sussistono gli estremi del reato di cui all’art. 372 c.p.
Sarà l’ufficio del P.M. a verificare la ravvisabilità di eventuali ulteriori reati.
Per i motivi già esposti al paragrafo 10 deve disporsi la trasmissione al P.M. anche degli atti relativi alla deposizione del teste Angelo GAGGIANO, nella parte in cui afferma di avere visto alcune persone staccarsi dal corteo delle Tute Bianche per poi comparire in Via Canevari nel momento in cui in questo luogo venivano incendiate alcune autovetture, fatto, come si è avuto modo di rilevare, la cui veridicità viene smentita da fonti di prova diverse e tra loro concordanti.
Anche in questo caso si ravvisano a carico del teste indizi del reato di cui all’art. 372 c.p.

12. Come si è rilevato, dal momento dell’assalto al blindato in panne non può più ritenersi operante, in relazione alle condotte dei manifestanti in generale e degli imputati in particolare, la causa di giustificazione di cui all’art. 4 del D. Lgs. Lgt 288/1944.
Da questo momento in poi non si assiste più ad una reazione legittima nei confronti di atti arbitrari dei pubblici ufficiali, ma ad una serie di condotte violente, non giustificate in alcun modo, a fronte delle quali l’intervento delle Forze dell’Ordine è rivolto solo a ristabilire l’ordine pubblico.
Ciò viene rilevato qui in senso generale, dato che durante l’istruttoria dibattimentale sono emersi ulteriori specifici e singoli episodi nei quali alcuni appartenenti alle Forze dell’Ordine paiono aver travalicato i limiti posti dall’ordinamento all’uso legittimo della forza.
Questi però (si pensi a quanto avvenuto sotto i portici di Corso Gastaldi o ancora, seppure in altro luogo della città, in Piazza Manin) non paiono porsi quale antecedente causale diretto di singoli condotte di resistenza contestate agli imputati e non possono pertanto costituirne giustificazione.
Infatti, oltre ad assalire il blindato in panne, sia quando al suo interno vi era l’equipaggio sia in un momento successivo quando lo distrussero, i manifestanti occuparono completamente lo slargo di Corso Torino, ponendo i propri scudi e costruendo vere e proprie barricate anche all’interno del tratto alberato di Corso Torino.
Così facendo, non solo si distaccarono sensibilmente dal percorso del corteo, ma costituirono un oggettivo e difficilmente superabile ostacolo ai tentativi dei Carabinieri di recuperare il veicolo in panne e ristabilire l’ordine sulla piazza.
Che questa sia stata una condotta di tipo aggressivo e violento, non animata da meri intenti difensivi come sostenuto da alcuni testi della difesa, si ricava facilmente dalle condotte ascrivibili a numerosi manifestanti che non si sono limitati a costruire le barricate, ma le hanno superate così portandosi a contatto dei contingenti in Corso Torino che hanno attaccato con lanci di oggetti e di corpi contundenti.
Tra questi, come si vedrà meglio più avanti, sono stati identificati anche alcuni degli imputati.
Si è visto come questa contrapposizione ha avuto una durata consistente, quantomeno dalle 15.50 alle 16.12 [495].
Le immagini hanno consentito di accertare anche, come gli scudi di plexiglas usati dai manifestanti per erigere la barricata in Corso Torino e nella altre zone dello slargo siano diversi da quelli già sequestrati dai Carabinieri.
Ciò perché (si vedano in particolare le immagini di SAVONAROLA tra le 15.50.45 e le 15.51.18 e poi alle 15.54.11) gli scudi sequestrati dai militari vengono trascinati verso mare ben oltre lo slargo di Corso Torino e si vedono rimanere ormai definitivamente in possesso del contingente.
Al contrario si possono notare i manifestanti che avanzano verso mare portando con sé nuovi scudi di plexiglas, evidentemente recuperati al momento di occupare nuovamente Via Tolemaide.
Significative in questo senso appaiono le immagini di SAVONAROLA tra le 15.51.18 e le 15.51.38.
Finalmente alle 16.12.48 i contingenti di Carabinieri e di Agenti di polizia presenti in Corso Torino, dopo aver lanciato i lacrimogeni, avanzano superando la barricata e rioccupando lo slargo.
Inizialmente a questa manovra non prendono parte i contingenti provenienti da Piazza Verdi, posti sotto la direzione del Dr. GAGGIANO, che accompagnati dagli idranti mobili si vedono raggiungere l’incrocio tra Via Tolemaide e Corso Torino solo alle 16.32 [496].
L’avanzata delle Forze dell’Ordine prosegue fino all’incrocio tra Via Tolemaide, Via Montevideo e Corso Gastaldi, dove si attesta il personale a piedi, mentre gli idranti si portano più vicino al ponte di Terralba (ore 17.07.05, immagini del reperto 236).
Quindi a partire dalle 17.09.38 [497] si verifica una consistente controffensiva dei manifestanti che costringono gli Agenti ad arretrare fino all’incrocio con Corso Torino (ore 17.22.25).

13. È a seguito di questa avanzata dei manifestanti, che percorrono velocemente ed in numero consistente Via Tolemaide diretti con atteggiamento aggressivo verso ponente che si verifica prima l’avanzata del contingente del Battaglione dei Carabinieri Sicilia lungo Via Caffa, poi la violenta reazione dei manifestanti, quindi la ritirata dei militari e l’episodio di Piazza Alimonda.
Si deve osservare come la manovra di polizia decisa dal Dr. LAURO non presenti alcun connotato di illegittimità né tanto meno di arbitrarietà.
Il contingente si trovava in una situazione momentanea di assenza di contrasto e in procinto di muoversi verso ponente, quando il suo dirigente notò la veloce avanzata dei manifestanti parimenti verso ponente, lungo una parallela alla strada che i militari dovevano percorrere.
In queste condizioni la decisione di LAURO di avanzare per chiudere l’accesso da Via Caffa, e così proteggere Piazza Alimonda ed anche le spalle del reparto di Polizia che si trovava tra questa e Piazza Tommaseo appare decisione in sé legittima, priva cioè di connotati di violazione di norme giuridiche o di sviamento del potere attribuito al funzionario.
Anche le modalità seguite appaiono non censurabili e - sia detto per inciso - anche molto diverse da quelle che erano state proprie della manovra del contingente diretto dal Dr. MONDELLI e dal Capitano BRUNO circa due ore prima.
LAURO dispose di non lanciare lacrimogeni, non condusse la carica contro la barricata ed i manifestanti, ma fece semplicemente avanzare il contingente.
Si trattò di atto amministrativo della cui prudenza, forse, si può discutere senza che però ne resti minata la legittimità.
CAPPELLO ha spiegato di aver esternato le proprie perplessità riguardo all’opportunità della manovra, a causa del numero e delle condizioni dei militari, nonché del venir meno delle scorte di lacrimogeni, ma aveva poi finito per obbedire.
LAURO ha sostenuto invece di avere avuto il pieno appoggio dell’ufficiale.
Si tratta però di un contrasto più apparente che reale, dato che la manovra fu compiuta ugualmente da tutto il contingente compatto, con il Dirigente di P.S. e l’Ufficiale nelle prime file.
Per giunta il contrasto è emerso solo a dibattimento, a distanza di molto tempo dai fatti quando cioè si discuteva non solo dell’opportunità della manovra ma, soprattutto, delle sue conseguenze.
Anche la circostanza che il contingente a piedi sia stato seguito dai due DEFENDER appare manovra probabilmente imprudente, ma non illegittima.
I più alti in grado, LAURO e CAPPELLO, si sono detti contrari a questa manovra, effettuata a loro insaputa.
MIRANTE si è detto all’oscuro di un ordine in tal senso, ZAPPIA ha ritenuto la circostanza come determinata da un caso fortuito.
TRUGLIO dal canto proprio ha affermato come, in mancanza di un ordine diverso, i conduttori dei veicoli si accodano “naturalmente” al reparto a piedi.
CAVATAIO si è riferito ad un generico ordine di seguire il contingente a piedi, datogli ore prima da un ufficiale di cui non ricordava il nome.
Nessuno, dunque, si è assunto la responsabilità di quella manovra, ma anche in questo caso ciò pare determinato dalla portata dei fatti successivi e non da una ipotizzabile illegittimità dell’atto.
Non vi sono elementi di prova che dimostrino come la manovra del contingente in Via Caffa fosse sostenuta negli operanti dalla volontà di compiere una prepotenza o di arrecare un danno ingiusto ai manifestanti.
Si trattava di un’attività di contenimento della folla nel tentativo di ristabilire l’ordine pubblico, impedendo a questa di spostarsi in direzione di Piazza Tommaseo.
Neppure da un punto di vista oggettivo, mettendosi cioè nei panni di un osservatore esterno ed “avveduto” secondo la giurisprudenza già richiamata, si ravvisano estremi di arbitrarietà dell’atto.
La conseguenza è che la violenta reazione dei manifestanti, il successivo inseguimento dei militari a piedi e sui veicoli, l’assalto alle due camionette, soprattutto a quella condotta da CAVATAIO non possono essere considerati comportamenti giustificati in alcuna maniera e integrano gli estremi oggettivo e soggettivo dei reati contestati.
Sulla base delle deposizioni testimoniali dei Carabinieri coinvolti, delle dichiarazioni dell’imputato MM relativamente alle minacce gridate dalla folla nei confronti dei militari e delle immagini acquisite si deve ritenere provato un intento gravemente lesivo delle persone che circondavano il veicolo.
Intento che si è realizzato solo in parte provocando gravi danni al veicolo, lesioni ai suoi occupanti e il tentativo di produrne di ancora più gravi.
Al di là della folla urlante che circonda il veicolo, lanciando sassi e simili, il comportamento più grave e pericoloso appare quello di chi, con la trave, colpisce ripetutamente nell’interno del veicolo, cercando la testa o comunque le sagome dei suoi occupanti.
In quei momenti così concitati, chi si trovava all’interno del veicolo, bloccato da un cassonetto e con il motore spento, poteva effettivamente ritenere di essere fatto oggetto di un tentativo di linciaggio.
E che, a differenza degli appartenenti al Blocco Nero, i manifestanti di Piazza Alimonda non disponessero di bombe Molotov con le quali poter incendiare il veicolo costituisce giudizio postumo che può essere espresso solo oggi, cioè a freddo dopo i fatti.
In altri termini non si può far carico a quei militari di non aver ragionato in questi termini e di essersi lasciati prendere, tutti insieme, dal panico.
La reazione di Mario PLACANICA, come sappiamo, fu mortale e colpì una persona che si trovava con un estintore in mano, ma a quanto sembra ancora a circa quattro metri dal veicolo.
Per accertare le modalità e la legittimità di questo atto vi è già stato un procedimento e non rientra nei compiti di questo Collegio esprimersi sul punto.
Infatti, ogni considerazione non relativa ai fatti oggetto di imputazione o ai loro antecedenti causali supererebbe i limiti del giudizio e della decisione sui fatti di causa.

14. Considerazioni non diverse valgono per l’ultima parte degli avvenimenti di quel giorno, relativi all’avanzata delle Forze dell’Ordine in Corso Gastaldi ed al corrispondente arretramento dei manifestanti del corteo fino allo stadio Carlini.
In questa fase non vengono contestati agli imputati specifici episodi che integrino estremi di reato. Di conseguenza non possono neppure essere esaminati qui eventuali comportamenti illeciti di terzi.
Le posizioni personali degli imputati

15. BD viene accusato in concorso con altri del reato di devastazione e saccheggio aggravato (capo 55) in relazione al danneggiamento degli arredi urbani e delle proprietà pubbliche collocati in numerose vie e piazze della città (n.1), di alcuni mezzi blindati appartenenti all’Arma dei Carabinieri e impiegati in servizi di ordine pubblico (n. 2) e in particolare del danneggiamento, saccheggio ed incendio del blindato tg CC 433 BC (n. 3).
Ulteriori accuse mosse all’imputato in concorso con altri riguardano due reati di resistenza aggravata commessi rispettivamente il primo (capo 56) in Via Tolemaide, Corso Torino e Via D’Invrea e il secondo (capo 57) ai danni dell’equipaggio del blindato tg CC 433 BC fermo all’incrocio tra Corso Torino e Via Tolemaide.
Vi è poi la contestazione della contravvenzione di cui all’art. 5 co. 1 L. 152/1975 in relazione alla partecipazione a manifestazione tenuta in luogo pubblico in condizioni di travisamento del volto (con un foulard), reato che risulta peraltro già estinto per prescrizione [498].
L’identificazione dell’imputato è resa possibile sulla base di due diversi elementi di prova: 1 il riconoscimento personale ad opera di un Ufficiale di P.G. che lo conosce personalmente, 2 la comparazione fisionomica di alcune immagini investigate con altre di sicura riferibilità al BD.

15.1 BD è stato riconosciuto dal teste Mauro FINESSO Dirigente in servizio presso l’ufficio DIGOS della Questura di Padova dal 1988.
Tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio 2002 la Questura di Genova aveva inviato diverse foto relative agli scontri avvenuti in occasione del G8 alle Questure delle città dove sono attivi gli ANTAGONISTI DISOBBEDIENTI per verificare se le persone ritratte potevano esserericonosciute.
Le foto erano contenute in due CD, e in data 19/2/2002 FINESSO aveva riconosciuto con sicurezza il BD nella foto n. 121 del secondo CD.
Si tratta della foto reperto 237 Mediaset 0023 [499] che ritrae il giovane a volto scoperto, capelli abbastanza lunghi biondi, scarmigliati, maglia chiara attillata sotto la quale si vede un’imbottitura sulle spalle.
Era questa l’unica immagine che ritraesse il BD tra quelle contenute nei CD inviati da Genova.
BD venne riconosciuto, oltre che da FINESSO, anche dai suoi colleghi MANTOVANI e BORSATO, anch’essi dipendenti della DIGOS di Padova.
Fin dal 1999 il teste conosceva l’imputato quale attivo partecipe alle iniziative del MOVIMENTO ANTAGONISTA sia a Padova sia in altre città.
Egli era anche stato denunciato in occasione di scontri, occupazioni di immobili ed interruzioni di pubblico servizio.
FINESSO dichiarava di aver visto il BD in almeno 15/20 manifestazioni prima di ricevere le immagini del G8 e pertanto di conoscerlo bene.
Sulla foto il riconoscimento era stato immediato, perché il viso si vede a pieno.
L’imputato risultava abitare a Padova insieme a MG, leader del locale Centro Sociale PEDRO, abitazione nella quale FINESSO aveva trovato BD in occasione di una perquisizione compiuta a carico del MG.
La DIGOS di Padova inviò a quella di Genova una fotocopia del frontespizio della richiesta di passaporto con la foto di BD.
Il teste ZAMPESE ha individuato nel materiale acquisito le immagini relative a ciascuno degli imputati, identificato mediante le caratteristiche fisiche ed i particolari dell’abbigliamento.
Per BD ha descritto i particolari visibili innanzitutto nella foto reperto 237 Mediaset 0026 [500] che ritrae alcuni soggetti travisati, fermi vicino agli scudi in Via Tolemaide in un momento concomitante all’assalto al blindato.
Il soggetto di interesse è il secondo da destra, in secondo piano, indossa una felpa grigia con vistosa imbottitura ed è travisato con fazzoletto rosso, indossa guanti scuri, jeans e porta un moschettone sul lato destro.
I medesimi particolari si trovano anche in altre immagini come nella foto reperto 164-251 n. 0013 [501] che ritrae l’interessato a fianco del blindato in panne (la vistosa imbottitura, il cappuccio della felpa, il travisamento con fazzoletto rosso, i guanti scuri), nella foto reperto 237 Mediaset frame 004 che lo ritrae in possesso di un estintore e vicino ad un’auto (la vistosa imbottitura), nella foto reperto 237 Mediaset frame 0023 che lo mostra in Via Tolemaide (si notano l’imbottitura di gommapiuma e materiale bianco ed il foulard rosso portato al collo), nella foto reperto 151-19 RAI frame 0010 che lo ritrae insieme ad altri in Via D’Invrea (si notano il travisamento con foulard rosso, la vistosa imbottitura in gommapiuma, l’estintore portato all’altezza della vita), nella foto reperto 151-19 RAI frame 0015 che lo mostra vicino ad un cassonetto abbattuto (si notano le scarpe scure, il travisamento con il fazzoletto rosso e l’imbottitura di gommapiuma).
ZAMPESE riferiva come identici i particolari della figura di questa persona e del suo abbigliamento.

15.2 Alcune delle immagini ipotizzate come riferibili all’imputato sono state oggetto di una comparazione fisionomica [502], la provenienza di queste è stata chiarita dal teste ZAMPESE [503].
Il C.T. del P.M. Dr. CAVALERA ha spiegato come le due immagini siano state mese a confronto somatico.
In entrambe le immagini l’esame delle caratteristiche ha riguardato: la forma generale del viso, i capelli, la fronte, le sopraciglia, gli occhi, il naso, la distanza naso labiale, la bocca ed il mento.
Il soggetto A (foto reperto 237 frame 0023) è ripreso di tre quarti sul lato destro e presenta le seguenti caratteristiche:
- il contorno cranio facciale a forma pentagonale,
- i capelli lunghi leggermente mossi, di color chiaro quasi biondo,
- la fronte tendenzialmente alta,
- le sopraciglia tendenzialmente curvilinee e mediamente folte,
- gli occhi con direzione orizzontale, palpebra superiore scoperta,
- la piramide nasale definibile come medio-grande con radice media (cioè ampiezza media della radice o parte superiore del naso), dorso rettilineo, lobo nasale grande, pinne nasali piccole,
- la distanza naso labiale definibile come lunga in rapporto alle altre caratteristiche del somatismo facciale,
- la bocca grande e con direzione orizzontale, le labbra sottili,
- il mento alto, largo e di forma rettangolare.
Il soggetto noto BD (foto frontale allegata alla richiesta del passaporto) presenta:
- il contorno cranio facciale a forma pentagonale,
- i capelli tendenzialmente lisci, lunghi, di colore castano quasi biondo,
- la fronte alta,
- le sopraciglia tendenzialmente curvilinee e mediamente folte,
- gli occhi con direzione orizzontale,
- la piramide nasale definibile come medio-grande con radice di ampiezza media, il dorso è rettilineo, il lobo nasale grande, le pinne nasali piccole,
- la distanza naso-labiale qualificabile come lunga,
- la bocca definibile come grande rispetto alle atre caratteristiche facciali, con direzione orizzontale, le labbra sottili,
- il mento alto, largo e di forma rettangolare.
Tutte queste caratteristiche somatiche generali, così come il grado di adiposità del volto coincidono nelle due immagini.
Inoltre non si ravvisano difformità tali da fondare un giudizio complessivo di esclusione.
Il C.T. ha pertanto formulato un giudizio di compatibilità tra i due individui.

15.3 Gli elementi di cui sopra consentono di identificare in modo certo nell’imputato BD la persona ritratta nelle immagini relative agli scontri a lui attribuite.
Decisivo appare il riconoscimento compiuto dal teste FINESSO, che per motivi professionali conosceva BD da alcuni anni prima del G8 e lo poi ha individuato con sicurezza nell’immagine di cui sopra.
Si tratta di un riconoscimento pienamente attendibile, basato su conoscenza personale, compiuto già nella fase delle indagini e ripetuto a dibattimento.
FINESSO ha poi riferito di analogo riconoscimento compiuto nella persona dell’imputato da due colleghi di ufficio.
La C.T. fisionomica prodotta dal P.M. ha fornito un ulteriore elemento di conferma, individuando numerosi elementi somatici coincidenti tra l’immagine dell’ignoto e quella certamente ascrivibile all’imputato.
Le caratteristiche somatiche e di abbigliamento della persona investigata sono state oggetto di approfondimento da parte del teste ZAMPESE che le ha ritrovate in tutte le immagini in seguito attribuite al BD.
Quest’ultimo, infine, non ha offerto elementi contrari alla propria identificazione con la persona oggetto di investigazione.

15.4 Come si è già rilevato al paragrafo 11.2, il Collegio non ritiene di poter qualificare le condotte tenute dai manifestanti appartenenti, o comunque che agirono a margine del corteo delle Tute Bianche come violazione del reato di cui all’art. 419 c.p.
Restano però punibili a titolo diverso le condotte che, a seconda dei casi vengano accertate a carico di ciascun imputato.
Nel caso di BD gli elementi raccolti consentono di ritenere provati i fatti a lui ascritti ai numeri 1 e 3 del capo 55, cioè il danneggiamento aggravato dalla destinazione a pubblico servizio degli arredi urbani collocati nelle zone teatro degli scontri e il danneggiamento parimenti aggravato del blindato in panne in Corso Torino dal quale sottraeva un estintore.
Le immagini acquisite in particolare ritraggono BD nello slargo di Corso Torino e nelle aree limitrofe durante gli scontri avvenuti vicino al blindato in panne [504].
Egli (immagini del reperto 164 133 dal minuto 13.35) si vede insieme a molti altri dietro gli scudi mentre avanza in direzione del blindato fermo, sopra al quale si trova ancora l’equipaggio.
Poi si trova ancora davanti agli scudi (reperto 237, minuto 02.58) davanti ai Carabinieri che si spingono fino al blindato per soccorrere i colleghi in difficoltà.
Quindi (reperto 164 251 da 00.39 in avanti) si vede BD avvicinarsi al blindato, aprirne una portiera e appropriarsi di un estintore per poi (reperto 237 da 29.15) portarsi di corsa verso la parte alberata di Corso Torino, dove vi sono le barricate e si verifica la contrapposizione con i militari.
BD porta con sé l’estintore (reperto 237, 29.24), arriva dietro le barricate (reperto 237 frame 0012 – 0016) che contribuisce a costruire spostando i cassonetti (reperto 151 19, 00.38, frame 0014-0017).
Da quanto sopra emerge la partecipazione volontaria di BD al danneggiamento degli arredi urbani (55 n. 1), mediante lo spostamento dei cassonetti riempiti di sassi tratti dai muri delle aiuole, nonché al danneggiamento del blindato ed alla sottrazione degli oggetti in esso contenuti, cioè l’estintore (55 n.3).
Risultano anche provati gli estremi oggettivo e soggettivo del reato di resistenza contestato al capo 56 per la volontaria partecipazione (e pericolosa, dato il possesso di un estintore) alla contrapposizione con le Forze dell’Ordine sulle barricate costruite nel tratto alberato di Corso Torino all’incrocio con Via D’Invrea.
Come si è già rilevato in precedenza (paragrafo 11.1), si tratta di condotta violenta non giustificabile in alcun modo, perché successiva all’arretramento del contingente e pertanto non collegata causalmente ad alcun atto arbitrario dei pubblici ufficiali.
In quel momento i manifestanti non si stavano difendendo ma incalzavano Carabinieri ed Agenti di Polizia, portando i propri scudi in luogo non interessato al percorso del corteo e oltrepassando le barriere stesse per effettuare lanci contro gli Agenti.
Si è constatato come questa manovra si sia protratta per diversi minuti ed abbia avuto, tra gli altri, l’effetto di separare completamente il blindato in panne dal resto dei contingenti impedendo a questi ultimi qualsiasi manovra di soccorso.
Parimenti risultano provati gli estremi oggettivo e soggettivo del reato di resistenza contestato all’imputato al capo 57, quale condotta violenta esercitata nei confronti dell’equipaggio del blindato in panne.
Anche in questo caso si tratta di attività non giustificabile ai sensi dell’art. 4 D. Lgs. Lgt. 288/1944 perché il veicolo ed i suoi occupanti in quel momento non stavano compiendo alcun atto di tipo aggressivo nei confronti dei manifestanti ma subivano l’assalto di questi.
Pertanto BD viene ritenuto responsabile dei reati contestatigli ai capi 56 e 57. nonché del reato di cui agli articoli 81, 635 co. 2 n. 3 in relazione all’art. 625 n. 7 c.p. in relazione ai fatti contestati al capo 55 numeri 1 e 3.
Non risulta invece provata una sua partecipazione al danneggiamento di altri blindati dell’Arma dei Carabinieri, diversi cioè da quello rimasto in panne (capo 55 n. 2), fatto dal quale egli deve essere assolto.

16. CD viene accusato in concorso con altri, tra i quali BD, del reato di devastazione e saccheggio aggravato (capo 55) in relazione al danneggiamento degli arredi urbani e delle proprietà pubbliche collocati in numerose vie e piazze della città (n.1) e di alcuni mezzi blindati appartenenti all’Arma dei Carabinieri e impiegati in servizi di ordine pubblico (n. 2). Ulteriore accusa mossa all’imputato in concorso con altri riguarda il reato di resistenza aggravata (capo 56) commesso in Via D’Invrea e in Via Casaregis.

16.1 L’identificazione dell’imputato è resa possibile sulla base di tre diversi elementi di prova: 1 la circostanza che la persona investigata risulti ferita al braccio destro che trova conferma in alcuni referti medici del Pronto Soccorso rilasciati al CD, 2 la circostanza riferita da ZAMPESE che il 20/7/2001 CD risulti fermato ed accompagnato presso la struttura di Genova Bolzaneto per identificazione, 3 la comparazione fisionomica di alcune immagini investigate con altre di sicura riferibilità al CD.
Come si è visto[505], il teste ZAMPESE ha indicato una serie di immagini, filmati e fotografie, ritratte soprattutto in Via Casaregis nelle quali compare un individuo dalle caratteristiche fisiche e di abbigliamento ben definite: nella parte superiore del corpo indossa solo un gilet verde, con la parte posteriore più scura, porta jeans ed una maglietta rossa legata in vita, calza stivaletti neri, ha una collana ed un braccialetto, capelli neri, baffi ed il pizzetto[506].
Lo stesso si vede[507]cadere a terra perché urtato da una campana per la raccolta del vetro, investita a sua volta da n blindato dei Carabinieri.
I frame 0028 - 0032 del medesimo reperto mostrano questo stesso soggetto sulla destra mentre si allontana dalle prime file degli scontri tenendosi il braccio destro aiutato da un altro giovane.
Appare evidente, sia l’identità della persona nelle diverse immagini, sia l’eziologia traumatica delle lesioni riportate, corrispondenti, secondo quanto dichiarato dal teste ZAMPESE all’udienza del 22/11/2005, a quelle repertate a CD.

16.2 Alcune delle immagini ipotizzate come riferibili all’imputato sono state oggetto di una comparazione fisionomica [508], la provenienza di queste è stata chiarita dal teste ZAMPESE [509].
Il C.T. del P.M. Dr. CAVALERA ha spiegato come le quattro immagini siano state mese a confronto somatico.
Le immagini del soggetto investigato (figure 1 e 2) sono ritratte rispettivamente di tre quarti e l’altra di profilo destro e sono tratte da un filmato.
La persona ritratta presenta:
- il contorno cranio facciale di forma tendenzialmente ellissoidale,
- un adipe di scarso grado,
- i capelli di media lunghezza e forma riccia,
- la fronte alta e larga,
- le sopracciglia a linea spezzata e formazione pilifera di grado medio,
- gli occhi con palpebra inferiore a borsa,
- il naso a torso tendenzialmente rettilineo con pinne nasali e lobulo di piccole dimensioni,
- le narici con divaricazione di tipo medio,
- l’orecchio obliquo come direzione del padiglione auricolare, di dimensioni medio grandi e a forma tendenzialmente rettangolare,
- la bocca di dimensioni tendenzialmente medie e labbra di media ampiezza,
- il mento convesso e di forma tendenzialmente rettangolare.
L’analisi delle due foto (una in perfetto fronte e l’altra in perfetto profilo destro) del cartellino dattiloscopico di CD ha consentito di rilevare:
- il contorno cranio facciale di forma ellissoidale,
- un adipe di grado medio,
- i capelli a forma riccia e di media lunghezza,
- la fronte lievemente concava, alta, larga e di direzione sfuggente (cfr. il profilo),
- le sopracciglia a linea spezzata con formazione pilifera di grado medio,
- gli occhi con palpebra inferiore a borsa,
- il naso a base rialzata e con dorso rettilineo: il naso è deviato a sinistra (vi è concavità a sinistra e la direzione va ad interessare le ossa nasali e parte della costituzione cartilaginea del naso), pinne nasali e lobulo di piccole dimensioni,
- le narici con divaricazione media,
- l’ orecchio obliquo come direzione del padiglione auricolare, di dimensioni medio grandi, forma tendenzialmente rettangolare,
- la bocca di dimensioni tendenzialmente medie con angoli lievemente abbassati e labbra di media ampiezza,
- il mento convesso di forma tendenzialmente rettangolare, di direzione intermedia.
Il C.T. P.M. ha spiegato come l’analisi comparativa condotta tra le quattro immagini ha accertato:
- la medesima forma del viso perché il contorno cranio facciale è di forma tendenzialmente ellissoidale,
- il grado di adiposità è definito medio in un gruppo di immagini e di scarsa adiposità nell’altro,
- in entrambi i casi i capelli sono di forma riccia,
- la fronte è alta e larga,
- in entrambi i casi le sopracciglia sono a linea spezzata e con formazione pilifera di grado medio,
- in entrambi i casi gli occhi hanno una palpebra inferiore a borsa,
- il dorso del naso è sostanzialmente rettilineo, anche se nella foto segnaletica si apprezza la leggera deviazione a sinistra (il C.T. ha spiegato che si tratta in questo caso di foto ripresa con illuminazione adeguata),
- in entrambi i casi l’orecchio ha direzione del padiglione obliqua, è di dimensioni medio grandi e di forma tendenzialmente rettangolare,
- la bocca è di dimensioni medie e labbra di media ampiezza,
- il mento è convesso di forma tendenzialmente rettangolare in entrambi i casi.
La coincidenza di tutti questi elementi ha consentito di esprimere consente un giudizio di compatibilità tra le due figure.

16.3 Gli elementi di cui sopra consentono di identificare in modo certo nell’imputato CD la persona ritratta nelle immagini relative agli scontri a lui attribuite.
Decisiva appare la coincidenza dei dati di cui sopra: la persona investigata risulta ferita al braccio destro così come CD, lo stesso era presente a Genova il giorno 20/7/2001 sia perché è stato medicato al Pronto Soccorso sia perché è stato poi accompagnato presso la struttura di Bolzaneto per l’identificazione.
Gli accertamenti tecnici sulle immagini della persona investigata e su quelle di CD hanno espresso un giudizio di compatibilità, fondato su numerose coincidenze di tipo somatico.
Le caratteristiche somatiche e di abbigliamento della persona investigata sono state oggetto di approfondimento da parte del teste ZAMPESE che le ha ritrovate in tutte le immagini in seguito attribuite al CD.
Quest’ultimo, infine, non ha offerto elementi contrari alla propria identificazione con la persona oggetto di investigazione.

16.4 CD risulta partecipare ad una fase molto limitata degli scontri, sostanzialmente circoscritta alla violenta contrapposizione tra Forze dell’Ordine e manifestanti in Via D’Invrea ed in Via Casaregis, nel momento in cui questi ultimi iniziano a reagire alle cariche e incalzano i Carabinieri spingendoli verso Via Tolemaide.
Si tratta di una fase contemporanea all’aggressione ai danni del Tenente SACCARDI [510] alla quale peraltro CD non è interessato.
Le immagini lo mostrano direttamente coinvolto negli scontri, fin da quando i Carabinieri iniziano ad avanzare su Via Casaregis (reperto 164.133 frame 0039 – 0041).
Quindi viene ritratto mentre cerca di incendiare della carta uscita da un cassonetto (stesso reperto filmato da 08.46), lancia una bottiglia e, insieme a PATANIA, spinge un cassonetto verso i Carabinieri ed i loro veicoli (reperto 86 Telereporter da 00.35 a 01.04 e frame 0012 – 0022).
Quando i militari a piedi arretrano, CD dapprima esulta (reperto 164.133 frame 0010 – 0016), poi partecipa all’avanzata dei manifestanti e lo si vede in prima fila munito di un palo metallico al quale è attaccato un cestino della spazzatura (foto reperto 88D G9_2w [511]).
Infine, dopo la carica dei blindati in Via Casaregis si vede CD ferito al braccio destro mentre viene soccorso (reperto 164.133).
È evidente da quanto sopra la diretta e volontaria partecipazione dell’imputato sia al danneggiamento degli arredi urbani, sia a quello dei blindati appartenenti all’Arma dei Carabinieri (capo 55 numeri 1 e 2), condotte di cui CD deve essere ritenuto responsabile, escludendosi nella specie la configurabilità del contestato e più grave reato di cui all’art. 419 c.p., ai sensi degli articoli 81, 635 co. 2 n. 3 in relazione all’art. 625 n. 7 c.p.
Quanto accertato integra anche gli estremi oggettivi del reato di resistenza a pubblico ufficiale, contestato al capo 56.
Trattasi peraltro di condotta tenuta in presenza della causa di giustificazione di cui all’art. 4 D. Lgs. Lgt. 288/1944, quale reazione ad atto arbitrario dei pubblici ufficiali procedenti, come rilevato al paragrafo 11.1, e pertanto l’imputato ne deve essere mandato assolto.
Come già rilevato [512] la causa di giustificazione opera esclusivamente in relazione ai reati di cui agli articoli da 336 a 343 del codice penale e non si estende ad altre fattispecie, comunque connesse, come il danneggiamento o le lesioni personali.

17. DRF viene accusato, unitamente ad altri, del reato di devastazione e saccheggio aggravato (capo 55) in relazione al danneggiamento degli arredi urbani e delle proprietà pubbliche collocati in numerose vie e piazze della città (n.1), di alcuni mezzi blindati appartenenti all’Arma dei Carabinieri e impiegati in servizi di ordine pubblico (n. 2) e in particolare del danneggiamento, saccheggio ed incendio del blindato tg CC 433 BC (n. 3).
Ulteriori accuse mosse all’imputato in concorso con altri riguardano due reati di resistenza aggravata commessi rispettivamente il primo (capo 56) in Piazza Alimonda, Via Tommaso Invrea, Via Casaregis, Via Tolemaide, Corso Torino e Corso Gastaldi e il secondo (capo 57) ai danni dell’equipaggio del blindato tg CC 433 BC fermo all’incrocio tra Corso Torino e Via Tolemaide.
Vi è poi la contestazione della contravvenzione di cui all’art. 5 co. 1 L. 152/1975 in relazione alla partecipazione a manifestazione tenuta in luogo pubblico in condizioni di travisamento del volto (con un casco da motociclista ed una maschera antigas), reato che risulta peraltro già estinto per prescrizione [513].
L’identificazione dell’imputato è resa possibile sulla base di due diversi elementi di prova: 1 il riconoscimento personale ad opera di Ufficiali di P.G. che lo conoscono personalmente, 2 la comparazione fisionomica di alcune immagini investigate con altre di sicura riferibilità al DRF.

17.1 DRF, così come il coimputato FTO, è stato riconosciuto dai testi Federico BUSATO e Franco BALLOTTA della DIGOS della Questura di Padova.
BUSATO ha spiegato che entrambi sono legati al movimento dei DISOBBEDIENTI che aveva preso parte alle manifestazioni di Genova in occasione del G8.
I due testi sono stati concordi nell’indicare in DRF un partecipante alle iniziative del Centro Sociale PEDRO di Padova.
BALLOTTA aveva conosciuto personalmente DRF durante le manifestazioni di protesta in piazza nel corso del 1996 e lo aveva rivisto anche in seguito.
Nella foto reperto 151 29 RAI 005 [514], che ritrae alla stazione ferroviaria un gruppo di manifestanti appena scesi da un treno proveniente dal Veneto, sulla destra dietro a Luca CASARINI BUSATO riconosceva DRF con la maglietta bianca.
Il teste riconosceva l’imputato anche nelle successive foto 006 – 009 del medesimo reperto (nelle foto 008 e 009 identificava anche FTO).
Analogo riconoscimento ha compiuto il teste BALLOTTA.
Come si è ampiamente riportato nella prima parte di questo capitolo il teste ZAMPESE ha individuato diversi particolari dell’abbigliamento (quali il giubbotto salvagente arancione, il casco bianco a pois neri, i jeans chiari strappati dietro[515], le scarpe da ginnastica con un inserto laterale particolare[516], un guanto da motocross blu, rosso e bianco), particolari tutti che risultano identici sia nelle immagini della persona ritratta durante gli scontri sia in quelle che ritraggono il DRF a viso scoperto al momento dell’arrivo alla stazione ferroviaria, immagini queste ultime (tratte dal reperto 151 29 RAI in particolare i frame da 0015 a 0021) nelle quali egli è stato riconosciuto dai testi BUSATO e BALLOTTA.
Lo stesso DRF viene ritratto a volto scoperto mentre percorre Corso Gastaldi insieme al corteo delle Tute Bianche [517], immagine nella quale si nota la maschera antigas di colore azzurro che indosserà poco dopo durante gli scontri e il giubbotto di salvataggio arancione.
In altra immagine [518] ritratta nel medesimo contesto si possono notare anche il casco bianco a pois neri, tenuto in mano dal DRF, i jeans chiari e le scarpe da ginnastica.

17.2 Alcune delle immagini ipotizzate come riferibili all’imputato sono state oggetto di comparazione fisionomica, i cui esiti sono riportati in una relazione [519], la provenienza delle immagini è stata chiarita dal teste ZAMPESE [520].
Il C.T. del P.M. Dr. CAVALERA ha spiegato come le quattro immagini siano state mese a confronto somatico.
Le foto 1 e 2 ritraggono il soggetto investigato la cui figura presenta:
- la linea cranio facciale di forma tendenzialmente ovale,
- il grado di adiposità del volto normale,
- i capelli medio lunghi, lisci, di colore castano chiaro,
- la fronte di forma lievemente convessa, di direzione intermedia, con media altezza e larghezza,
- le sopracciglia di forma curvilinea, mediamente folte,
- gli occhi di direzione lievemente obliqua verso l’esterno, di grandi dimensioni, con palpebra superiore scoperta,
- il naso munito di piramide di dimensioni generali medie, radice larga, dorso lievemente convesso, lobo medio, pinne di piccole dimensioni,
- la distanza naso labiale lunga,
- l’orecchio destro nella sua totalità risulta di obliquità e dimensioni medie; la porzione superiore dell’elice è di medie dimensioni, la porzione superiore dell’antelice è di grandi dimensioni; il trago di piccole dimensioni; l’antitrago di direzione rettilinea e di piccole dimensioni; il contorno del lobo è di forma discendente,
- la bocca appare media di direzione orizzontale con labbra carnose,
- il mento è alto, largo, di direzione intermedia e di forma convessa.
Le foto segnaletiche ritraggono DRF rispettivamente di profilo destro e di fronte, la sua figura presenta:
- il contorno cranio facciale di forma tendenzialmente ovale,
- il grado di adiposità del volto normale,
- i capelli medio lunghi, lisci, di colore castano cario,
- la fronte visibile solo parzialmente, ma ha il profilo di forma convessa,
- le sopracciglia curvilinee e mediamente folte,
- gli occhi lievemente obliqui verso l’esterno, di grandi dimensioni con palpebra superiore scoperta in posizione fisiologica,
- la piramide nasale di dimensioni generali medie, radice larga, dorso lievemente convesso, lobo medio, pinne di piccole dimensioni,
- distanza naso-labiale lunga,
- il mento alto, largo, di direzione intermedia e di forma convessa,
- l’orecchio destro è visibile solo nella metà inferiore, presenta il trago di piccole dimensioni;
l’antitrago di direzione rettilinea e di piccole dimensioni; il contorno del lobo è di forma discendente.
Il C.T. ha affermato come non sia stato possibile procedere alla comparazione completa dell’orecchio destro, visibile integralmente nella figura del soggetto investigato e solo a metà nella foto segnaletica di DRF.
Egli ha potuto comparare solo la parte inferiore, quella del trago che è di piccole dimensioni in entrambe le immagini.
L’antitrago nella foto segnaletica appare avere direzione rettilinea così come nella figura 1.
In entrambe si apprezza il contorno del lobo che è di forma discendente.
A causa della coincidenza dei particolari sopra menzionati il C.T. del P.M. ha espresso tra la figura del soggetto investigato e quella del DRF un giudizio di compatibilità totale, spiegando trattarsi di giudizio che si esprime quando tutti i particolari anatomici e facciali visibili sono simili, inoltre sono presenti particolarità anatomiche singolari.
Nel caso del DRF la singolarità è nel trago e nell’antitrago nonché nella conformazione del lobo dell’orecchio.
Si tratta di riscontro con valore identificativo ritenuto buono anche se la visione dell’orecchio è solo parziale.
Ciò perché il profilo non è dato molto frequente nell’esame di immagini di soggetti coinvolti in avvenimenti esterni.
La presenza di un profilo e anche solo di parte dell’orecchio fornisce informazioni ulteriori rispetto a quelle standard.

17.3 Gli elementi di cui sopra consentono di identificare con certezza la persona ritratta nelle foto oggetto di investigazione in DRF.
Elemento di prova fondamentale consiste nell’identificazione compiuta dai testi BUSATO e BALLOTTA del DRF nella persona presente a Genova insieme ad altri manifestanti provenienti dal Nord Est del Paese in occasione del G8.
Nelle foto ritratte alla stazione nelle quali è stato riconosciuto, DRF presenta tutti i particolari dell’abbigliamento (casco, guanto, giubbotto salvagente, jeans, scarpe) rinvenibili nelle immagini investigate.
Inoltre lo stesso a viso scoperto viene ritratto mentre scende Corso Gastaldi con il corteo delle Tute Bianche, vestito nella stessa maniera ed in possesso della maschera antigas azzurra usata durante gli scontri.
La C.T. fisionomica prodotta dal P.M. ha fornito un ulteriore elemento di conferma, individuando numerosi elementi somatici coincidenti tra l’immagine dell’ignoto e quella certamente ascrivibile all’imputato e concludendo con un giudizio di compatibilità totale tra le due figure.
Le caratteristiche somatiche e di abbigliamento della persona investigata sono state oggetto di approfondimento da parte del teste ZAMPESE che le ha ritrovate in tutte le immagini in seguito attribuite al DRF.
Quest’ultimo, infine, non ha offerto elementi contrari alla propria identificazione con la persona oggetto di investigazione.

 

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[455] Paragrafi 17 e ss.
[456] Si vedano i paragrafi 21 e 24 della prima parte di questo capitolo.
[457] Si veda il paragrafo 22 della prima parte di questo capitolo.
[458] Si veda il filmato reperto 4071 contenuto nella CT della difesa FA, ma non montato insieme agli altri.
[459] Si vedano le immagini dei reperti contenuti nella CT della difesa FA a partire dalle ore 14.52.05.
[460] Si tratta delle immagini della telecamera del traffico SAVONAROLA reperto 57A clip 85 e 86.
[461] Le due persone ritratte sopra la ferrovia dalla telecamera VERDI, reperto 57D clip 85 e 86 e nel reperto 41, sono probabilmente troppo spostate a ponente per rientrare nella prospettiva della telecamera SAVONAROLA, quindi per poter essere considerate presenti sopra al tunnel. Comunque queste due persone si limitano a guardare la scena e non compiono lanci.
[462] Si veda il filmato reperto 4.048, montato nella CT della difesa FA, che tra le ore 14.53.34 e le ore 14.53.40 mostra tre diversi lanci di lacrimogeni ad altezza d’uomo.
[463] Si vedano i paragrafi 25 e 26 della prima parte di questo capitolo.
[464] Si vedano in particolare le foto reperti F_07-20 luglio numeri 24, 27, 28 e 30 riportate nella prima parte di questo capitolo al paragrafo 23.
[465] Si vedano i particolari delle foto di cui sopra e l’ampia analisi delle immagini di questo tipo contenuta al paragrafo 27 della prima parte di questo capitolo.
[466] Si veda il paragrafo 27 della prima parte di questo capitolo.
[467] Si veda il paragrafo 30 della prima parte di questo capitolo relativamente ad immagini delle ore 15.24.25).
[468] Su questo episodio si veda più avanti l’esame della posizione MM.
[469] Si vedano le immagini del reperto 198.50 nel montaggio della CT della difesa FA.
[470] Innanzitutto quelle della telecamera del traffico SAVONAROLA che ha ripreso gli antefatti della carica e la situazione dello slargo di Corso Torino in maniera continua, quindi le immagini riprese dai privati (in particolare i reperti 154.02, 192.09, 164.251 e 198.50) che riprendono specificamente la situazione del contingente di Carabinieri fin da quando si trova ancora in Via D’Invrea.
[471] Si veda il filmato reperto 4071 al quale si è già fatto riferimento.
[472] Sul dovere dello Stato di garantire l’esercizio di manifestare anche nei confronti di interferenze di terzi si vedano le sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo citate al capitolo II.
[473] Filmato reperto 154.02 da 14.33).
[474] Analoghe considerazioni possono essere svolte per l’uso dei manganelli d’ordinanza considerati armi improprie ai sensi dell’art. 4 L. 110/75 e dell’art. 585 co. 2 n. 2 c.p. mentre per l’uso di manganelli non d’ordinanza si veda infra.
[475] Si veda il paragrafo 21 della prima parte di questo capitolo.
[476] Si veda il paragrafo 22 della prima parte di questo capitolo, immagini delle ore 14.54.57.
[477] Le immagini (reperto 192.09 alle ore 14.55.29, paragrafo 26 della parte prima di questo capitolo) mostrano MONDELLI che si trova immediatamente dietro la prima fila dei Carabinieri e che con il proprio manganello indica il sottopasso, cioè la direzione che il contingente avrebbe dovuto prendere.
[478] Appare significativo il rilievo che, per quanto il corteo fosse poco prima transitato vicino a negozi devastati e ad auto incendiate, come in Via Montevideo, non vi è alcuna evidenza di atti di danneggiamento o di saccheggio da parte dei suoi componenti.
[479] Si veda il paragrafo 15 della prima parte di questo capitolo.
[480] Si veda il reperto 192.21 da 00.28.50, paragrafo 23 della prima parte di questo capitolo.
[481] Visibile nella foto reperto 70H27OGGS95MS.
[482] Si veda la deposizione del CT della difesa FA, paragrafo 27 della prima parte di questo capitolo.
[483] Si vedano ad esempio le foto prodotte all’udienza del 2/3/2007.
[484] Si vedano le produzioni difensive n. 18 e 20 contenenti verbali di arresto, poi non convalidati e sentenze di assoluzione.
[485] Si veda sul punto, esemplificativamente, il racconto del teste PF.
[486] Si veda il paragrafo 27 della prima parte di questo capitolo.
[487] Sul punto in termini si veda la sentenza della Corte di Cassazione Sez. VI 9/3/2004, Maroni citata al capitolo VI paragrafo 3.
[488] Si trova tra gli allegati alla C.T. della difesa FA e al n. 36 delle produzioni della difesa.
[489] Si veda il paragrafo 23 della prima parte di questo capitolo.
[490] Si tratta delle immagini della telecamera VERDI, reperto 57D clip 82, tra le ore 14.10 e le ore 14.20 e delle deposizioni dei testi ZAMPESE e CORDA.
[491] Si veda la deposizione del teste CORDA. Quest’ultimo è autore di una minuziosa ricostruzione dei fatti, compendiata per quanto riguarda l’episodio dell’incendio delle auto di Via Canevari nel filmato contenuto nel DVD 1, clip 3 al minuto 9.07.
[492] Sui singoli episodi si ritornerà più avanti nel corso dell’esame delle posizioni personali.
[493] Si trova a pag. 227 e s. del volume II delle trascrizioni.
[494] Si vedano i paragrafi 20 e 23.
[495] In particolare si vedano le immagini della telecamera del traffico SAVONAROLA descritte al paragrafo 33.1 della prima parte di questo capitolo.
[496] Immagini della telecamera del traffico SAVONAROLA, paragrafo 35 della prima parte di questo capitolo.
[497] Immagini riprese dall’elicottero, reperto 188.18, paragrafo 36 della prima parte di questo capitolo.
[498] Per le considerazioni concernenti la prescrizione dei reati contravvenzionali contestati agli imputati si veda il capitolo VII parte 2, paragrafo 2.
[499] Si trova nel DVD personale sia nei frame del reperto 237 sia nella cartella “selezione ordinata” al n. 008.
[500] Si trova nel DVD personale, cartella “selezione ordinata” al n. 010.
[501] Questo ed i reperti seguenti si trovano nel DVD personale.
[502] Si trova sia nel DVD personale sia nell’allegato 7 delle produzioni di P.M.
[503] Nella relazione 26/4/2002 la Polizia Scientifica ha utilizzato la foto del BD da questi allegata in data 9/10/1999 alla richiesta del passaporto (documento acquisito tramite la DIGOS di Padova) e la foto dell’ignoto da identificare tratta dal reperto 237 Mediaset frame 0023 (foto nella quale FINESSO ha riconosciuto l’imputato n.d.r.). la richiesta di comparazione riporta la data del 21/2/2002.
[504] Per una descrizione completa delle immagini relative all’imputato si veda la prima parte di questo capitolo, paragrafo 33.
[505] Si veda la parte prima, paragrafo 31.
[506] Si veda ad esempio la foto reperto 41 Telegenova 0006 contenuta nella cartella “selezione ordinata” al n. 009.
[507] Si veda il reperto 164 133 come inserito nella C.T. della difesa FA alle ore 15.24.25)
[508] Si trova sia nel DVD personale sia nell’allegato 7 delle produzioni di P.M.
[509] Nella relazione 25/6/2002 la Polizia Scientifica ha utilizzato a pag. 5 le due foto del segnalamento del CD compiuto a Roma il 6/8/2001 mentre le due immagini del soggetto investigato riportate a pag. 4 sono costituite dai reperti 88D foto 1G e 88D scontri foto 1AF, tratte dal CD predisposto dal “Giornale”.
[510] Si veda la parte prima di questo capitolo al paragrafo 31.5.
[511] DVD CD cartella “selezione ordinata” n. 060.
[512] Si veda il capitolo IV paragrafo 5.
[513] Per le considerazioni concernenti la prescrizione dei reati contravvenzionali contestati agli imputati si veda il capitolo VII parte 2, paragrafo 2.
[514] Queste foto si trovano nel 3° DVD DRF.
[515] Si veda ad esempio la foto reperto 164.133 0020 nel 3° DVD personale cartella “selezione ordinata” al n. 018.
[516] Si veda la foto reperto 70H OGGS8WMS, nel 3° DVD personale cartella “selezione ordinata” al n.
[517] Si tratta del reperto 192-16TPO 0004, contenuto nel 3° DVD DRF cartella “selezione ordinata” al n. 011.
[518] Foto reperto 192-TPO 0002, ibidem al n. 010.
[519] Si trova sia nel 3° DVD personale sia nell’allegato 7 delle produzioni di P.M.
[520] Nella relazione 10/4/2002 la Polizia Scientifica ha utilizzato le immagini provenienti dal foto segnalamento di DRF avvenuto a Padova il 21/5/1999 (pag. 5), nonché due immagini provenienti dal reperto 151-29 che ritraggono alcuni manifestanti all’arrivo alla stazione (pag.4).